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L'ULTIMO APPELLO regia di James Foley

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frine     7 / 10  25/05/2006 00:18:30Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Tratto da un romanzo di Grisham, non è però il solito legal thriller, anche se non mancano tensione e colpi di scena. Il tema dominante del film è infatti quello, molto grave e importante , della pena di morte.
Accusato da più parti di ambiguità , il film è invece interessante proprio perché non è 'a tesi', e lascia le risposte, difficili e laceranti, alla coscienza del singolo.
Sam Cayhall, anziano razzista affiliato al Ku-Klux-Klan per tradizione di famiglia, è stato condannato a morte per l'efferato assassinio di due bambini ebrei e per la conseguente, tragica fine del loro padre. Dopo molti anni -ma a meno di un mese di distanza dalla data prevista per l'esecuzione- un giovane avvocato decide di accollarsi l'ultimo appello del vecchio sciagurato. Il giovane si chiama Adam Hall e ha vissuto per anni nella damnatio memoriae di Sam, di cui, nonostante la modifica apportata al cognome, è nipote.
Al primo incontro, Sam si dimostra ostico e scostante: pronuncia odiose frasi razziste e manda al diavolo il nipote, di cui diffida, poiché lo considera azzimato e inesperto.
Ma Adam non molla. Quali sono le sue motivazioni? Salvare il consanguineo dalla camera a gas?
Forse sì, forse anche questo. Tuttavia, Adam vuole soprattutto conoscere meglio lo scomodo nonno (ma dove sono i bravi nonnini di una volta, quelli che raccontano fiabe...) per comprendere la verità sulle disgrazie della propria famiglia e specialmente sul suicidio, a soli trentacinque anni, del proprio padre, figlio di Sam. Da questo punto di vista, le risposte sono fin troppo chiare e gli giungono dalla bella zia Lee, ormai devastata dall'alcolismo: quando lei e il padre di Adam erano piccoli, Sam aveva ucciso, senza alcuna seria ragione, un giovane di colore, e non era stato punito. Ma entrambi i suoi figli erano rimasti irrimediabilmente traumatizzati dall'evento.
Sull'altro fronte, Adam indaga, e riguardo all'assassinio della famiglia ebrea scopre (con l'abilità tipica dei personaggi di Grisham) cose che lo stesso nonno si era rifiutato di rivelare, per un malinteso senso di lealtà verso la propria organizzazione criminale (spoiler).
Nel frattempo, però, il rapporto personale fra nonno e nipote si consolida, l'ostilità cede il posto alla fiducia, al punto di convincere Sam a rivelare segreti estremamente preziosi per la giustizia. I mostri vengono alla luce, ma....
E' giusto uccidere Sam? Per chi è contrario alla pena di morte senza se e senza ma, certamente no. Lo stesso film lascia intuire quanto sia orribile e inumana la vendetta della società nei confronti di un singolo essere umano, per quanto colpevole di gravi delitti. Per di più, in anni di prigionia, Sam si è conquistato la stima e la simpatia di molte persone: quella degli altri condannati, di qualsiasi razza o condizione sociale e politica, e perfino quella della guardia di colore. Ma allora, chi è veramente Sam?
Il tempo è troppo poco per capirlo. Ci verrà detto solo che la responsabilità morale del crimine deve essere punita quanto la responsabilità materiale. Può essere giustizia, ma non è, e non può essere -almeno nella società americana-perdono.
L'intervento ambiguo, ragionevole ma sgradevole, del governatore, complica ancor più le cose. Cosicché alla fine ci sentiamo insoddisfatti, confusi, ma almeno siamo indotti a riflettere.
Gene Hackman vince l'agone attoriale a redini basse, ma Chris O'Donnell, che forse si misura con un ruolo troppo grande per lui, merita comunque la medaglia al valore. Affascinante Faye Dunaway, che con quel carisma e quel mestiere puù dire ciò che vuole.


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