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ADDIO TERRAFERMA regia di Otar Iosseliani

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kafka62     7½ / 10  27/02/2018 14:17:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Popolato, come i precedenti e bellissimi "I favoriti della luna" e "Caccia alle farfalle", da un'umanità bizzarra ed incongrua, non saprei dire se più folcloristica o surreale (africani che girano per Parigi con gli sgargianti abiti tradizionali portando in testa conche di plastica, viscidi faccendieri alti come Danny De Vito che si accompagnano a discinte ragazze alte come Brigitte Nielsen, una donna manager che viaggia solo in elicottero, un allampanato maggiordomo che lancia boomerang per consentire al suo padrone di fare il tiro al piattello, joggers che portano la carrozzella del figlio appresso, e così via), "Addio terraferma" è una curiosa ronde in cui i molti personaggi si incrociano e si sfiorano, guidati non tanto da un preciso filo conduttore quanto dallo sguardo deliziosamente impassibile e svagato di Iosseliani.
Non bisogna però essere tratti in inganno dalla entomologica freddezza dello stile del regista georgiano. Il suo è, in fin dei conti, un cinema autenticamente morale. Dietro alla rappresentazione del lussuoso mondo della madre del protagonista e del suo amante non si fatica infatti a leggere la condanna dell'egoismo e dell'arroganza capitalistica e borghese. Il fatto è che "Addio terraferma" non è propriamente un film anti-borghese e anti-capitalistico, tanto è vero che la doppia vita del figlio primogenito, che – novello Enrico V – di giorno fa il lavapiatti e frequenta barboni, mendicanti e reietti di ogni specie, non è assolutamente vista come una soluzione alternativa (anzi, il figlio prima finisce in carcere e poi viene riassorbito nella rassicurante orbita familiare). La sua visione del mondo è totalmente de-ideologizzata e de-storicizzata, confinata più nel territorio della favola che in quello della critica sociale. La poetica degli sconfitti e degli emarginati di Iosseliani (che si riserva non a caso il ruolo del vecchio padre) non passa attraverso una presa di coscienza ma attraverso un'esclusione, un'espulsione (dal lavoro, come la giovane cameriera o il gigantesco negro pasticcione, dalla società, come il barbone, o ancora dalla famiglia) ed è soprattutto una soluzione in negativo, una non-soluzione, una fuga anarchica verso l'ignoto (le vette impervie o il mare sconfinato delle ultime sequenze). In questo modo il messaggio del film ben si concilia con la sensibilità nostalgica e un po' retrò di Iosseliani, che nella sua caparbia anti-modernità ci appare altrettanto anacronistico del bizzarro uccello dal largo becco appuntito che passeggia come se niente fosse per le lussuose stanze della villa, simbolo inquietante di un oltre e di un altrove che si diverte contro ogni logica a irrompere nel quotidiano e a scompaginare la realtà.