Jolly Roger 7 / 10 23/04/2013 00:25:36 » Rispondi Dunque: diciamo subito che questo film ha un nome importante, pesante, direi addirittura ingombrante. La conseguenza è che tutti si aspettano che sia perlomeno all'altezza (o poco al di sotto) del titolo che vanta, un po' come succede ai figli dei vip – eternamente sottoposti al paragone con le qualità dei propri genitori da cui traggono il cognome. American Psycho è stato un film importantissimo anche a livello culturale, ha suscitato molto scalpore per essere stato il primo film horror a squarciare il velo della società affaristica, mostrando un serial killer differente da tutti quelli visti prima, i quali erano, per lo più, soggetti emarginati e devianti, completamente ai margini della società. L'American Psycho era invece qualcosa di profondamente diverso, sia dall'Henry di "Henry Pioggia di Sangue", sia dalla ben più folkloristica banda di pazzi di "Non Aprite Quella Porta".
L'American Psycho era un soggetto perfettamente inserito in società, anzi, era un vincente. Un arrembante trader in carriera che, grazie all'elevato reddito che conseguiva dal suo lavoro, si sentiva libero di realizzare, anzi di sfogare, le sue peggiori perversioni – trovando oltretutto, quando servivano, anche delle coperture. La sua schizofrenia non veniva percepita dalle persone da cui l'American Pshyco si circondava sul lavoro, perché essa si mimetizzava perfettamente in quel sottile strato di sociopatia e alienazione che spesso sono latenti negli ambienti in cui regna un affarismo sfrenato e nei quali la dimensione del lavoro e della carriera finisce col fagocitare, se non col bruciare letteralmente, le dimensioni più intime e private della vita: la famiglia, gli amici, le passioni… cose senza le quali una persona non può dirsi completa – anzi, spesso smette proprio di essere una persona, diventando un disumanizzato robot da carriera. Tutta la vita dell'American Psycho era incentrata su questo punto: faceva sport, ma solo ai fini di curare la propria immagine da sfruttare ai fini del lavoro e della crescita professionale. Usciva a bere con gli amici, che però non erano amici, ma colleghi di lavoro, anzi – dei rivali sul lavoro. Non aveva una sua vita privata con relazioni stabili e "umane" – anzi, nella sua ottica, questo costituiva una debolezza. I suoi spazi privati consistevano nel liberare le proprie pulsioni deviate, in luoghi e tempi appositamente organizzati.
Tutto questa spataffiata su AP 1 la dico perché, mentre mi apprestavo a guardare American Psycho 2, ero pieno di pregiudizi: come potevano aver fatto un secondo capitolo di quel film?! American Psycho è un film "stand-alone", un film che dice un'immensità di cose, ma le dice già tutte, togliendo spazio a qualsiasi possibilità o convenienza di aggiungere altro. E invece…Invece mi sono proprio ricreduto. American Psycho 2 è infatti qualcosa di molto differente dal primo. O meglio: l'idea è sempre quella,
cioè quella di avere un personaggio perfettamente inserito nella società, che però è un pazzoide, infatti la protagonista è sc.hiz.zata proprio! Un po' vive e un po' ammazza, un po' vive e un po' ammazza: il tutto è finalizzato a realizzare il suo unico scopo: diventare l'assistente del suo professore, arruolarsi e diventare cacciatrice di serial killers!
Tuttavia, AP 2 corre su un binario diverso rispetto ad AP 1: si scrolla di dosso qualsiasi velleità di aderenza alla realtà che aveva il suo predecessore, evita l'intento di descrivere e di riflettere su taluni aspetti della società e si libera da qualsiasi intento di critica sociale. Aggiungerei, infine, che abbandona totalmente alcuni aspetti un po' esagerati e grotteschi del primo film. Spogliatosi di ciò, AP 2 è libero di costruire sé stesso come una black comedy totalmente fuori dagli schemi, col risultato di essere una storia molto fresca, cinica e spiritosa insieme. Inoltre, ho avvertito una sapiente ironia che passa quasi inosservata: sotto l'ingenua parvenza di un teen horror, il film contiene degli aspetti molto taglienti. Mi riferisco principalmente a due aspetti.
il primo, l'ironia dissacratrice su alcune figure caratteristiche della vita sociale e lavorativa: il professorone borioso che, tradendo la moglie, fa il mandrillone con una studentessa; la studentessa che va a letto col professore, ben più vecchi odi lei, per avere in cambio l'ambito posto di assistente; l'impiegata inflessibile e super-burocratica dell'ufficio universitario, pronta a rovinarti la vita per un cavillo di legge; il bamboccio che trae vantaggio dall'appartenenza ad una ricca famiglia che finanzia l'università; lo psichiatra di mezz'età che vuol risolvere i problemi nella vita degli altri ma che ha una vita ben più incasinata degli altri, divorziato e succube della mamma. Tutti personaggi che risultano abbastanza odiosi; il fatto che siano comuni e che ognuno di noi abbia avuto a che fare con questi stereotipi facilita non di poco l'immedesimazione con la protagonista - che li fa fuori tutti :-) Il secondo aspetto tagliente, molto azzeccato, è che questo film sbeffarda la tendenza degli ultimi vent'anni, di affidarsi ai cosiddetti criminologi come ad una sorta di tramandatori viventi della Bibbia, custodi della verità e dell'infallibilità. La Bibbia apocrifa, per intenderci, dei cosiddetti Profiler da strapazzo. Nessuno vuol metter in dubbio l'utilità di queste figure professionali. Il fatto però è che, spesso, una cosa "nuova", una "nuova" branchia del sapere, soprattutto se si discosta dalla noiosa routine scientifica e si presenta come tendenzialmente voyeuristica, si trasforma in un imbuto in cui si cacciano tutti, ma proprio tutti, gareggiando selvaggiamente gli uni con gli altri, gente convinta di aver trovato una missione anziché di svolgere quello che, fondamentalmente, è solo un mestiere per persone capaci, molto utile ma niente più di questo. Sto parlando, in particolare, dei Profiler all' "itagliana" dell'ultim'ora, quelli che, quando un fatto di cronaca nera scuote le sensibilità della massa, si sgomitano per chi partecipa a più puntate di un talk show, col solo fine di apparire in tv e di raccimolare un gettone di partecipazione più cospicuo, a costo di spararla più grossa degli altri, cercando di convincere un pubblico – spesso poco preparato – delle soluzioni più originali – che spesso sono quelle più improbabili e colpiscono l'immaginazione collettiva solo per questa profonda, colpevolmente millantata, distanza dalla realtà comune. E' molto sottile il gioco di questo film, ma se ci pensate è palese: una serial killer all'università di aspiranti cacciatori di serial killer: lei è in mezzo a loro e ne fa di tutti i colori, ma nessuno di questi luminari si accorge di nulla.
A tutto questo, si aggiunge che il film ha una costruzione perfetta, condita da un finale a sorpresa molto simpatico e crudelmente beffardo. Insomma, più parlo di questo film, più mi convinco dei suoi pregi.
"le persone che uccido, le uccido a fin di bene, pensate a quante persone salverò poi quando entrerò nell' FBI e darò la caccia ai serial killers!!!"
deliver 03/10/2013 00:25:58 » Rispondi Ma la domanda e' questa: che diavolo c'entra col primo film ? Quindi, per legarlo al franchise di AP1, quando abbiamo di fronte una banalissima black comedy per le tv via cavo ??