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HOLY SMOKE regia di Jane Campion

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amterme63     7 / 10  02/03/2010 21:42:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
I film della Campion sono belli, interessanti, ottimamente girati, però c'è sempre qualcosa che mi lascia tutte le volte insoddisfatto, con la sensazione che si sarebbe potuto fare meglio, magari con meno dispendio.
Holy Smoke ha un tema molto interessante: la sincerità delle conversioni religiose a sette guidate da santoni, il grado di libertà con cui sono effettuate e quanto sia lecito "impedirle". La prima parte propone alcuni momenti di riflessione e di coinvolgimento dello spettatore su questo argomento. Poi purtroppo il film si avvita su se stesso, incagliandosi in una disamina piuttosto confusa delle tortuosità interiori dei protagonisti.
Nella prima parte la Campion gioca su due tavoli: da una parte si suggerisce che Ruth possa essere stata circuita e manovrata, dall'altra si fa vedere la famiglia e l'ambiente in cui è cresciuta Ruth, mostrandolo come molto superficiale, degradato, ipocrita e materialista. Il tutto è visto con acuta e divertente ironia.

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Solo che il montaggio frenetico e spezzettato non aiuta a mettere in dovuta evidenza la storia, che sembra a volte un po' tirata via.
La parte centrale è la migliore. L'uomo che dovrebbe convincere Ruth ad abbondare "la fede" e riportarla sulla "retta via", prende a volte un aspetto da inquisitore, come se per ridare a Ruth la libertà gliela volesse togliere. A volte si è quasi portati a tifare per lei, si vorrebbe che mantenesse salda la sua scelta, ingannevole o no che sia. L'ironia si accanisce quindi anche contro i "liberatori", che sembrano in realtà volere incatenare ancora di più Ruth.
Il film avrebbe potuto andare più a fondo e svelare tutta l'ipocrisia, la falsità, la mediocrità e il vuoto morale dell'ambiente "occidentale". Invece all'improvviso si abbandona il registro ironico e critico per avventurarsi in una specie di psicodramma a due, con tanto di morbosità e tira e molla erotici.
Probabilmente in questa fase del film la Campion voleva mostrare come il problema principale di Ruth fosse la mancanza di amore. La ragione per cui è "caduta" nelle grinfie del santone indiano era semplicemente quella di trovare qualcuno che l'amasse, che le dimostrasse interesse come persona e non come ruolo (figlia) o come oggetto (donna da scopare).
Nella parte finale del film entra in gioco a pieno titolo il personaggio di PJ (un ottimo Keitel) il cui comportamento ricalca un po' il modello del Padre Sergio di Tolstoj: il domatore che viene domato, il santo che pecca, mostrando così il lato umanissimo e debolissimo di chi si crede forte.
Il film in pratica si chiude sulla "consapevolezza" acquisita dai protagonisti dei propri vuoti interiori, dei propri veri desideri. Il tutto però con molto effetto ma poca chiarezza. Si punta più sull'effetto esteriore (immagine-suono-atto) che sull'essenza interiore (rarefazione-riflessione-rispecchiamento).
Dal punto di vista tecnico, stavolta la Campion sembra fare affidamento più sul suono (una splendida colonna sonora) che sulle celebri immagini ad effetto che l'hanno resa famosa.
Grazie alla parte iniziale, alle ottime interpretazioni e alla splendida colonna sonora, penso che valga senz'altro la pena passare una serata in compagnia di questo film.