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HOLY SMOKE regia di Jane Campion

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     6½ / 10  08/01/2007 23:21:28Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Al primo impatto, il film della Campion sembra collocarsi nel classico "le cose che sembrano appartenerci, che ci piacciono, possono apparire equivoche e persino pericolose agli occhi degli altri".
"holy smoke" è il trionfo della coercizione (come nel discutibilissimo finale) in quanto unica realtà plausibile che conduca al vero significato di "esperienza".
Ma la svolta della Campion (che un po' dopo darà vita a un noir ovvio ma terribilmente attraente e incompreso come "in the cut") è grottesca, calligrafica, ridondante, vagamente kitsch eppure finalmente priva(ta) di quel romanticismo tardovittoriano che rischiava di esaurirsi in se stesso.
Un film che spiazza, che - con i rimandi all'universo anticonvenzionale di "sweetie" - affascina e infastidisce, senza esitare di sconfinare nel paradosso, come nell'atto urinatorio della protagonista nuda (?) davanti al suo Guru.
La gabbia non è certo ideologica, anzi, tutto è messo in atto da un mostruoso complotto familiare che sembra uscito da una versione hardcore del delizioso film di Altman "una coppia perfetta" (1979)-
Liberare le emozioni? New age? Si parla di Manson e di Bel-Air, del reverendo della Guyana: il messaggio mistico dell'inganno strazia con lo stesso procedimento di certi epiteti.
L'elemento iconografico cfr. il sai baba e lo Zen si priva dei cliche' - talvolta - per affrontare come un road-movie tradizionale un'universo che è soprattutto fuga dalla realtà (notte brava in locale infimo).
Tutto - anche il mondo gay - puo' essere accettato se contestualizzato nella cultura nazionale da dove proviene.
L'importante è la sacralità del contesto ma solo in superficie, anche se la famiglia puo' essere una tremenda realtà, un padre non soffre ma si fa pure l'amante, la madre è una nevrotica, il fratello è omosessuale, e un'altro vive con una moglie ninfomane...
Il guru Keytel diventa "fuoco" di una conoscenza fisica atta a diventare emblema di ribellione al peso del tempo (vestito da donna sembra reclamare alle sue rughe di arrestarsi).

"Stiamo diventando tutti schiavi di qualcuno" sembra suggerire il film.

Che, accidenti, non è affatto male: peccato solo che a una prima parte stupenda ci si perda in un'estetica soft-porno retorica e confusa, scandalosamente filosofica (repulsione/attrazione, il gioco delle parti; la sopraffazione nella sessualità etc.).

Pochi anni dopo, arriva "in the cut", il noir piu' hardcore di fine secolo.

Mi resta sì, un dubbio, un dilemma latente: quali strane esperienze personali hanno portato Jane Campion a trasformare il suo cinema quasi castissimo in simili provocazioni?
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  08/01/2007 23:22:30Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ehm di "inizio" secolo volevo dire
ELY81  06/11/2007 22:32:29Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quoto. Bel commento! Infatti anch'io ho avuto la stessa impressione che il film perdesse punti nella seconda parte.