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COME HARRY DIVENNE UN ALBERO regia di Goran Paskaljevic

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Invia una mail all'autore del commento Zazzauser     6½ / 10  04/10/2006 17:36:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ci troviamo di fronte ad un prodotto non molto conosciuto ad opera di un regista serbo, Goran Paskaljevic, che trasforma in cinema una storia dall’interessante sfondo storico e sociale e dal plot interessante.
Nell’Irlanda degli anni ’20 troviamo Harry che stanco della propria vita si cerca senza ragione un nemico del quale tenta di rovinare la vita. Inoltre c’è Gus, suo figlio, ragazzo ancora giovane e bello ma non a proprio agio con il Mondo che lo circonda e George O’Flaherty, ricco uomo del villaggio che ha appena portato una ragazza per assistere la moglie che ha appena partorito.
Da quando questa ragazza sposa Gus si viene a creare un sistema di rapporti di amore-odio fra i membri di questa piccola microrealtà rurale, fra i quali spicca questa irrequietezza interiore, quasi una fobia di Harry, peraltro completamente ingiustificata, nei confronti di una vita nemica che identifica nella figura di George, e che cerca di inculcare come nemica anche nella testa del giovane e confuso figlio, impacciato con le donne, ma che ha comunque amore da vendere anche se non riesce ad esprimerlo sempre; ma spicca anche questo rapporto adultero di George, fra la ragazza, sua moglie e la sua serva, da cui Harry trae un pretesto, anche in mancanza assoluta di prove, per incastrarlo e raggiungere il suo stupido scopo. L’insoddisfazione verso una vita che gli ha tolto troppo e dato poco spinge Harry a ciò, a voler diventare un albero, che non teme nessuna intemperie e per l’eternità osserva tutti coloro che sono sotto i suoi rami: rami che fanno da tegole per la casa che gli è stata tolta.

Nonostante l’interessante intreccio, ci sono alcune perplessità che forse il film (ed il libro?) avrebbero dovuto spiegare… Meaney entra bene nella parte ma il suo personaggio mostra sin dall’inizio una mania di persecuzione, un vittimismo ed un autolesionismo che oltrepassano la realtà, cosa spinga O’Flaherty all’adulterio non viene spiegato, tantomeno non segue alcun filo logico, nemmeno quello principale, il fatto più importante del film, che invece dovrebbe essere la pedina conclusiva di questo “preciso” schema; l’epilogo, il risultato di una serie di concause, di fatti, di situazioni fortuite o volute che tirano le fila della trama. Ne risulta uno svolgimento degli eventi chiaro nella sua inspiegata chiarezza nella parte centrale, ma appunto senza capo né coda, che inizia nel nulla e finisce nel nulla (certi comportamenti di certi personaggi non si capiscono affatto nel finale, anche dovrebbero esserlo perché dovrebbero fungere da anello forte della catena e dare un po’ più di solidità alla trama che era partita, come ho già detto, in modo debole: soprattutto il comportamento della giovane Eileen che conferma la imho negativa l’enigmaticità del personaggio), una storia in cui fine ed inizio non si ricongiungono ma restano tronchi, non formano affatto una storia circolare. Della serie in cauda venenum: un venenum conseguenza di un inizio poco soddisfacente. Forse sono anche questi i frutti di un film tratto da un romanzo.

Non si sa mai se tutto ciò che accade è stato ampiamente voluto dall’autore del libro o se si tratta di negligenza nello scrivere. Non mi aspetto che capiate quello che voglio dire ma probabilmente tutto vi sembrerà più comprensibile se guarderete il film.

Però a me sono piaciute le ambientazioni storiche e sociali: ad esempio lo sfondo dell’Irlanda degli anni ’20 in guerra con l’Inghilterra sul quale l’autore non ha fatto molto leva se non spiegando la morte del fratello di Gus con il fatto che è stato ucciso “da pallottole inglesi”. Oltretutto il personaggio del bravissimo Cillian Murphy (non a caso irlandese) mi proietta verso la prossima visione del nuovo film di Ken Loach, le cui ambientazioni ed il quadro storico-sociale sono pressoché identiche (se non mi sbaglio).

Comunque non si può definire un film brutto. E perdonate la lunghezza. Sono già stato tacciato riguardo a ciò. Non lo faccio per fare il figo, è che sono logorroico di mio... oltretutto la lunghezza non è sempre sintomo di intelligenza o cultura.