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LA TOMBA DI LIGEIA regia di Roger Corman

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kafka62     6½ / 10  27/04/2018 09:53:06Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Se non fosse per il titolo e per certe vaghe suggestioni in comune (la labilità del confine tra la vita e la morte, la volontà dell'uomo di sopravvivere al suo trapasso), Edgar Allan Poe non c'entrerebbe per nulla in questo, peraltro non disprezzabile B movie cormaniano: "La tomba di Ligeia" è infatti un suspense film abbastanza convenzionale, in cui vengono accumulati un po' alla rinfusa elementi di inquietudine e di mistero (la data della morte di Ligeia cancellata dalla sua tomba, gli oggetti che Lady Rowena trova al risveglio nella sua stanza, le strane assenze notturne del marito, l'ambiguità del maggiordomo), al fine di accrescere progressivamente la tensione narrativa e farla esplodere, dopo almeno una mezza dozzina di scene ad effetto (tra cui esperimenti di ipnotismo, campane che si mettono a suonare da sole e porte che sbattono violentemente nel cuore della notte), in un finale liberatorio e purificatore

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER Corman passa in rassegna tutto il frusto repertorio dell'horror film, riempiendo la pellicola, oltre che degli ovvi topoi del genere, di tutto ciò che appare in grado di creare un'atmosfera lugubre e arcana, dagli oggetti-simbolo (il gatto nero, incarnazione del diavolo, gli asfodeli, fiori della morte) ai più svariati ammennicoli esoterici (le statue egizie che affollano l'abbazia, il mesmerismo, perfino i megaliti di Stonehenge). Poe è utilizzato in maniera non dissimile, e citazioni più o meno efficaci (da "Il gatto nero" e "La caduta di casa Usher" ai racconti sul magnetismo) si susseguono in un eterogeneo trovarobato che relega la raziocinante ambiguità dello scrittore americano sullo sfondo.
Dal punto di vista tematico-narrativo, "La tomba di Ligeia" non si differenzia perciò dai molti, indifferenziati, film dell'orrore usciti nei primi anni '60 (mi riferisco, ovviamente, al ciclo cormaniano su Poe, ma anche a "L'orribile segreto del dottor Hichcock" di Freda). Va un po' meglio con l'interpretazione (anche se lo snobistico sadismo di Vincent Price appare troppo "recitato" per essere pienamente convincente), con la fotografia (che fa del rosso un vero e proprio leit-motiv cromatico) e, soprattutto, con la scenografia, barocca e goticheggiante (le enormi e tetre stanze dell'abbazia, con le sue alte volte ogivali, i suoi pilastri, le sue orripilanti statue di pietra, sono il miglior décor che mi sia stato dato di vedere nell'ambito di un cinema programmaticamente povero e "artigianale"). Ciò che però dà veramente lustro alla pellicola (e che non è stato mai messo adeguatamente in evidenza) sono le geniali invenzioni stilistiche del regista. Attraverso il diffuso ricorso ai campi lunghi e ai movimenti di macchina avvolgenti, Corman fa interagire alla perfezione i suoi personaggi con l'ambiente che li circonda, dando alle inquadrature una notevole impressione di ricchezza visiva. Anche quando i piani sono, per comprensibili ragioni narrative, più ravvicinati, lo sfondo non scompare mai; anzi, in molti casi, tra la macchina da presa e il personaggio inquadrato si frappone con grande originalità un elemento della scenografia (le fiamme, come nella scena dell'esperimento ipnotico o nella lunga sequenza finale, una statua, ecc.), di modo che il contesto risulta impreziosito da connotazioni simboliche, emotive o semplicemente fotogeniche. Allontanandosi dagli stilemi abituali dei cineasti horror, Corman riesce così a trovare una sua personalissima strada stilistica, gravida di suggestioni estetiche e capace di offrire alcuni momenti di buon cinema (la scena dell'ipnosi di Lady Rowena, in cui la voce della defunta si sostituisce in modo inaspettato e agghiacciante alla voce della nuova moglie, quella del sogno, caratterizzata dall'abuso di lenti deformanti e di movimenti rallentati eppure perfetta per l'inquietudine che riesce a trasmettere, e infine la sequenza del rogo finale, parossistica e colma di morbosa follia).