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IL CAIMANO regia di Nanni Moretti

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annibalo     9 / 10  27/12/2009 15:32:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
A Napoli durante le ultime puntate della trascorsa campagna “telelettorale”, dopo l’uscita nelle sale italiane dell’ultimo film di Nanni Moretti, Berlusconi, rivolgendosi al pubblico di “Forza Italia” in delirio per il suo profeta, apre il discorso con uno stile da far invidia a Giulio Cesare: ”SONO IO (PAUSA), IL CAIMANO (ECO)”, anche se in seguito dichiarerà, che il film non l’ha visto e che non permetterà mai che ciò accada; forse perché la sua storia, già di per sé si racconta e i registi delle giubbe rosse andrebbero trattati come durante il maccartismo in America, ma qui si esagera senza misura, con troppa facilità e debole spirito satirico e il personaggio non lo consente.Il film di Moretti è invece un disegno geometrico concettuale, con una sceneggiatura curata in ogni dettaglio e una costruzione delle immagini in cui, c’è una meditata ricerca nello studio degli sguardi, che si riflettono in una scenografia- specchio che mostra lo stato d’animo di chi è presente in scena, provocando lo spettatore ad una costante attenzione, tesa ad usare i suoi strumenti interpretativi che molte immagini incitano a dispiegare, per la loro valenza fortemente simbolica.Co- protagonista del defenestrato Presidente del Consiglio è il cinema, che durante il periodo storico attuale rimane afasico, inerme di fronte all’indiscusso pilota e burattinaio dell’immaginario collettivo: il suddetto Silvio Berlusconi. La domanda che questo film pone è: come riuscire a trasporre cinematograficamente la sua storia, la vita di un personaggio che già si narra da solo e contemporaneamente è un teorico, un esperto padrone- regista della sua quotidiana immagine in movimento? Questo è il quesito che Moretti porta in scena, come il nucleo tematico più rilevante, che la realizzazione del film sul Cavaliere. Oramai ogni italiano sa quasi tutto di lui, per questo tale personaggio non può essere contenuto nello schermo perché già si racconta, ha plasmato ogni spettatore che attualmente è innanzitutto televisivo e dopo cinematografico, musicale, teatrale e via discorrendo. L’Italia è stata da 30 anni lobotomizzata, attonita di fronte alla sua immagine catodico- filmica, costituita da ogni classico ingrediente tipico dei film di genere: soldi che calano dal soffitto, corruzione, scalate al potere, riflettori sempre accesi, abbaglianti, per illuminare e accecare con sorrisi larghi da imbalsamare, pronti per l’uso al momento giusto. Non mancano neanche le belle donne, gioielli e smercio di denaro sporco. Il protagonista, emblema dell’italiano medio che ha votato Berlusconi, nella più totale assenza di coscienza critica, è un uomo del cinema, nel caso specifico uno spiantato, in pieno declino, un produttore che ha fatto la sua fortuna con i cosiddetti B-movie, tanto amati da Moretti, che si è divertito ad inventare i titoli e i manifesti dei suoi prodotti filmici di culto come: Maciste contro Freud, con Maciste in piedi che scaglia il lettino verso Freud che sta scappando con il taccuino, oppure I piedi di Laura, Stivaloni porcelloni, Mocassini assassini quest’ultimo con denti di squalo sopra mocassini sformati. La sua crisi è totale, attraversa il viale del tramonto in una disperazione tragi-comica, brancola nel buio, sembra che ogni passo che compie o parola pronunci, velocizzi lo sgretolamento della sua identità, dei suoi valori e della sua voglia di agire. Da vero cieco, accetta di realizzare la proposta di produrre un film sull’inattaccabile Re di Arcore, con una sceneggiatrice esordiente, anzi peggio: non ha mai realizzato nessun lungometraggio e ha un’identità ambigua, politicamente “troppo estremista”.
Pure in questa opera filmica, Moretti non rinuncia al dono dell’ubiquità, che un regista-attore possiede. In una scena a metà film per pochi minuti, Moretti interpreta se stesso, più intento a cantare che ad ascoltare la proposta balorda del produttore e della giovanissima regista, di girare un film su Berlusconi, dando ancora più respiro alla tesi del suo film: Berlusconi è già un film, perché in 30 anni ha creato un’ideologia, grazie al mezzo televisivo che ha reso spettacolo, la vita di ogni italiano, riuscendo sia a destra che a sinistra, a far parlare di sé in maniera continuativa quasi ispirandosi allo star system hollywoodiano, così da conquistarsi una sorta di aurea immortale. Ma nel finale da molti criticato, Moretti ritorna davanti alla macchina da presa, per girare un unico giorno della vita di Berlusconi, quello che potrebbe segnarne la sconfitta almeno morale del personaggio, me nello stesso tempo a restituirgli la sua vera umanità, la sua reale immagine. L’autore-attore lo interpreta in maniera ancor più dura, aggressiva, irresponsabile del ministro Botero, che aveva interpretato nel film di Lucchetti “Il Portaborse”. Qui il regista romano, non voleva imitare Berlusconi come tocca invece, all’inizio del film, a Elio De Capitani, con la sua interpretazione raffinata e graffiante, ma ha cercato di restituire attraverso la sua arte attoriale la parte più torbida, ombrosa del personaggio che a stento si conosce poiché da sempre il nemico non fa vedere le sue carte allo sfidante né tanto meno svela i suoi trucchi. uno dei più feroci alligatori del Rio delle Amazzoni, il suo tipico colore è il nero, la sua lunghezza può essere anche non di tutto rispetto, ma a differenza di questo animale predatore, Berlusconi non accetta quello che è, continuando a lottare con qualunque mezzo per quello che vorrebbe essere; mentre il cinema, con una limpida e chiara analisi del reale, ha i mezzi specifici per spostarsi nello spazio e nel tempo, raccogliendo dentro la pupilla dello spettatore il molteplice e il diverso, quella realtà che non riusciamo ancora, o non riusciamo più a vedere scoprendoci in ciò, emozionati.

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