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IL CAIMANO regia di Nanni Moretti

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kafka62     7½ / 10  27/04/2018 11:46:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Le polemiche di carattere politico che hanno preceduto l'uscita de "Il caimano" hanno rischiato di distogliere l'attenzione dalle qualità prettamente cinematografiche della pellicola. "Il caimano" infatti è un'opera malinconica, sofferta, a tratti anche tragica, incentrata – prima che sulla figura dell'ex Presidente del Consiglio italiano – su un personaggio (quello del produttore cinematografico Bruno Bonomo, impersonato dal bravissimo Silvio Orlando) di perdente nella vita (la moglie lo ha appena lasciato) e di fallito nella professione (non gira un film da più di dieci anni), costretto, tra soldi che non ci sono e amici che lo abbandonano (indimenticabile il tradimento perpetrato alle sue spalle del famoso attore Pulici – un Michele Placido deliziosamente autoironico – che ricorda l'altrettanto amara delusione patita dal Danny Rose di Woody Allen), costretto – dicevo – a bere fino alla feccia il calice dell'autodistruzione. La sceneggiatura che una giovanissima regista gli consegna e che lui senza neppure averla letta decide di girare è un po' il pretesto per un'improbabile resurrezione, rincorsa senza idealismi di sorta, soltanto per rimanere a galla un altro po', ma che quando tutto è ormai perduto e le ruspe stanno demolendo i suoi teatri di posa gli fa avere lo scatto d'orgoglio finale, quello di investire le proprie ultime disponibilità per girare un'unica sequenza – quella del processo – del film su Silvio Berlusconi.
E Silvio Berlusconi, questo convitato di pietra che ha turbato il sonno di critici e di politici, irritati dall'inaccessibile segreto che ha circondato la lavorazione del film? Il caimano del titolo è innegabilmente proprio lui, incarnato prima da Elio Capitani e poi, a sorpresa, dallo stesso Moretti che all'inizio, quando Bruno e la regista Teresa erano alla spasmodica ricerca di un attore disposto ad accettare la parte, aveva negato recisamente la sua collaborazione ("E' un film inutile, quelli che volevano sapere già sanno tutto, e quelli che non volevano sapere…"). Berlusconi, tuttavia, è sì un personaggio totalmente negativo, ma non è mai ridotto ad un ruolo farsesco, caricaturale, da satira politica. Inaspettatamente, il Cavaliere disegnato da Moretti è una figura profondamente tragica (la sua solitudine, quando in auto si sfoga contro gli alleati che lui ha fatto salire al potere e che ora, nel bel mezzo della bufera giudiziaria, gli hanno voltato le spalle, non è in fondo diversa da quella di Bonomo), e solo nei due inserti documentari in cui appare col suo vero volto il regista sembra voglia farsi beffe di lui. Ma nella scena in cui, dopo la condanna inflittagli, esce dal Tribunale e arringa la folla incitandola ad opporsi con qualsiasi mezzo alla magistratura facinorosa e antidemocratica, egli è un personaggio degno di un dramma scespiriano, e i bagliori che alle sue spalle illuminano il Palazzo di Giustizia dato alle fiamme dal popolo che lo ha eletto sono una straordinariamente potente raffigurazione del potenziale di conflittualità sociale presente in Italia dopo la sua discussa scelta di impegnarsi direttamente in politica con l'invenzione, in piena tangentopoli, del partito-azienda.
Tra queste due antitetiche figure, l'uomo più potente d'Italia da una parte, e l'omino sfigato e indifeso in balia dei marosi della vita dall'altra, Nanni Moretti non tenta di comporre un ritratto del proprio Paese nella forma della satira generazionale che aveva caratterizzato i suoi esordi, ma semmai lo suggerisce, lo rende implicito, lasciandolo, sfumato, sullo sfondo (quindi poca o nulla televisione-oppio dei poli, scarse le tirate sull'involgarimento della società). Come il Moretti-attore si defila, così le sue ossessioni sono meno percepibili, anche se sopravvivono subliminalmente sotto la superficie. Da tutto ciò il film ne guadagna sensibilmente, perché se è vero che esso perde in qualche modo la sua carica demagogica e didascalica (quella che sarebbe piaciuta a molti girotondini e militanti di sinistra), lo stile in compenso risulta più messo a fuoco, più raffinato, meno narcisisticamente compiaciuto. E così i morettismi, che pure sono presenti (gli operai di colore che lavorano movendosi al ritmo di una canzone di Khaled, Moretti che canta una canzonetta di Adamo al volante dell'automobile, la battuta di Orlando alla segretaria: "passami chiunque mi telefoni, anche gli sconosciuti, voglio essere disturbato!"), sono meno sottolineati, disturbano meno (come già avveniva peraltro ne "La stanza del figlio") di un tempo, consegnandoci un regista che, senza rinunciare al suo proverbiale moralismo (la crisi della famiglia tradizionale, soprattutto) a ai suoi temi d'impegno civile, risulta completamente rigenerato dopo la stasi (che sfiorava l'onanismo creativo) rappresentata da "Caro diario" e da "Aprile".