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IL GRIDO regia di Michelangelo Antonioni

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amterme63     9 / 10  19/01/2014 22:08:55Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il vero valore di questo film lo possiamo cogliere proprio noi, dopo più di 50 anni dall'uscita del film. Noi che viviamo in un mondo completamente diverso, attraverso questo film-opera d'arte, possiamo cogliere le forme, il succo, la rappresentazione espresssiva perfetta e completa di una certa epoca e di una certa società (la Bassa Padana degli anni '50).
Allo stesso tempo assistiamo all'espressione di un universale dell'animo umano: la difficoltà del singolo individuo a trovare comprensione interiore reciproca, a unirsi in maniera duratura con un'altra persona, a stabilirsi in un ambiente, in altre parole la difficoltà e l'impossibilità di condurre la propria vita con soddisfazione, trovandoci un senso.
"Il grido" ci vuole mostrare che questa è una malattia dell'animo che colpisce tutti; non solo nei ceti più agiati, ma anche nel cosiddetto proletariato possiamo trovare solitudine, incertezza, incostanza, debolezza, la sensazione di annaspare nel mare-mondo senza via d'uscita, se non quella di annegare.
Aldo, il protagonista, è il tipico carattere dei film di Antonioni: incerto, oscillante, prende sempre la risoluzione sbagliata, non coglie l'inquietudine altrui o se la coglie reagisce in maniera sbagliata, rivelando un'animo ancora più inquieto degli altri. E' un groviglio interiore complesso, impenetrabile. I protagonisti stessi faticano a capirci qualcosa in loro stessi. Questa incapacità a cogliere il senso e le ragioni dell'animo umano, si riflette anche nell'opera artistica. Pure nel "Il grido" lo spettatore fa fatica a immedesimarsi, a comprendere, a condividere. Nonostante che Cochrane ci offra un'interpretazione perfetta e calzante di Aldo, tanti passaggi, tante reazioni, tante decisioni rimangono inspiegabili e irrimediabilmente criptiche. E' il limite dei film di Antonioni: le sensazioni dei protagonisti sono mostrate, ma non sono fatte vivere allo spettatore.
Se quindi il cuore, il contenuto rimane sfuggente e difficile (non alla portata di tutti), ci rimane però da godere e da ammirare una forma filmica perfetta, affascinante, di una bellezza che colpisce anche oggi. I borghi dalle vecche architetture immersi nella nebbia, i sentieri fangosi e le strade sugli argini, le piaggie fluviali, gli interni dimessi delle case e dei negozi, appaiono così, con la massima naturalezza e semplicità ma con un'evidenza che ce li rende come rappresentazioni perfette, esemplari, esteticamente sublimi. Qualcosa di simile era riuscito a esprimerlo solo Bresson nel suo "Diario di un curato di campagna".
I movimenti di macchina sono di una raffinatezza e di una perfezione espressiva da manuale. I piani sequenza scorrono in maniera da rivelarci particolari espressivi importante (l'apparire improvviso in lontanza dell'interlocutore che prima era vicino, ecc.). Inoltre ne "Il grido" Antonioni ricorre anche al piano-contropiano (nei film precedenti quasi assente) ma lo fa sempre per sottolineare la distanza fra le persone (vedi la scena iniziale e finale della torre dello zuccherificio).
"Il grido" è poi in tutti i sensi un film "on the road", forse ancora più profondo ed espressivo di "Easy Rider". Il vagare, il continuo variare di paesaggi e luoghi, gli incontri con altre persone, non fanno che rafforzare il senso di discesa, di perdita, di smarrimento irrimediabile.
Sono rimasto veramente colpito da questo film. Non me l'aspettavo così bello, soprattutto dal punto di vista espressivo-visivo. Tra l'altro anche la colonna sonora è molto bella.
Ci si ammalava nell'animo e si sentiva il disagio di vivere anche negli anni '50, ma non si può fare a meno di avere la sensazione che il mondo di allora, anche se più povero e gramo, era infinitamente più bello e vivibile di quello attuale.