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FERRARI regia di Michael Mann

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Invia una mail all'autore del commento williamdollace     8½ / 10  17/12/2023 17:24:03Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
C'è un'enorme differenza fra la presenza fisica di Enzo Ferrari e ciò che gli accade attorno. Il figlio Dino è morto da bambino, ha due famiglie di cui la principale non conosce l'esistenza della seconda, è finanziariamente al collasso e impassibile e determinato si aggira per le case e per le officine, case come officine, officine come casa, fabbrica, letteralmente, con l'aria di chi non si piegherebbe nemmeno con una granata. I missili che produce, dal nome Ferrari sono bolidi implacabili, catapulte mortali, lui, "collezionista di vedove", perché i piloti che lui vuole e stima, devono essere votati alla vittoria, o alla morte. Nemici pubblici della Maserati, della Fiat, ma senza futuro (cit. Miami Vice). E tanto quanto la vita di Enzo si fa complicata e marcescente (Insider) tanto quanto brillano le sue carrozzerie, mentre studia le condutture per capitalizzarne la velocità, mentre rimbrotta chi molla l'acceleratore con una lezione di fisica prima della vittoria (o della morte). Perché lui, come nella vita privata, tira dritto e aizza, chi non è come lui, allo stesso dogma.
Adam Driver è perfetto. La sua andatura, le sue movenze, la sua decisione, la sua maschera, come Enzo nasconde tutto sotto il cofano, lo fa con grazia, stile, assenza di divismo o parole inutili.
Penelope Cruz è perfetta. Sul suo viso vediamo il suo dolore, passato e presente. Vediamo i segni. Ne vediamo le reazioni. Magistrale come ai tempi di Vicky Cristina Barcellona di Woody Allen.
L'ultima Mille Miglia, che deciderà le sorti economiche della Ferrari, siamo nel 1957, sarà la protagonista del fatale incidente mortale, la tragedia di Guidizzolo. La scena della tragedia così come della corsa tutta è il manuale di cinema di Michael Mann. I cavalli di Luck (serie tv, Michael Mann) finiscono nei motori, le superfici lucenti e le velocità sono talmente esasperate da uscire loro malgrado dalle inquadrature e da sfidare corpi dei piloti, gomme, forza centrifuga. Le morti senza retorica, una naturale conseguenza, corpi falciati che volano come manichini, senza spettacolarizzazione, solo arti e asfalto.
A Guidizzolo (MN) - a pochi minuti da me - "la Tragedia di Guidizzolo" - perderanno la vita 5 bambini e un totale di 11 persone.
"I piloti sanno che vanno incontro alla morte, i bambini no", dice, ripete, Enzo. Non ancora, diremmo noi, vista la dipartita di un Guido scomparso prematuramente, la cui malattia Enzo ha cercato di evitare come un meccanico che gioca a fare il chirurgo, contro il destino imperturbabile che lo sovrasta.
Ed è ancora cinema di destino, implacabile, di visi dalle inquadrature parziali, sghembi, un cinema di nuche e orizzonti (Miami Vice, All, Heat, Manhunter, Public Enemies, Blackhat, tutti*), è ancora un cinema di ultimi sguardi, quando tutto si allontana e si rimane impassibili fuori, implacabilmente avvitati all'asfalto mentre si coglie la portata della tragedia e del destino, dentro.
È un cinema compiuto, testamentario, che Manniano rimane al midollo, in ogni scelta, lontana dall'ovvia spettacolarizzazione delle emozioni in un'era (oggi) in cui tutti si ritagliano uno spazio di voce e ribalta orwelliana, Enzo tace.
Si corre senza mappe, senza cintura, senza protezioni, come nel suo cinema, impossibilitati a decifrare la prossima curva, l'esistenza di un traguardo che si fa portavoce della vita, dove l'ossessione maniacale pensa come un pilota, mortale fra i mortali eppure con l'unica possibilità concepita dalla vittoria: l'immortalità.