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LO SPECCHIO DELLA VITA regia di Douglas Sirk

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amterme63     9½ / 10  11/06/2012 19:33:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Lo specchio della vita" non è solo un semplice melodramma, è uno dei film più emotivamente belli mai girati. Inserirlo a forza in un genere è veramente riduttivo. Qui si toccano temi universali, quali il diritto di poter essere realmente quello che si è - e non quello che le apparenze vorrebbero - senza pagarne le conseguenze (la vicenda della bambina bianca figlia di una donna nera), il difficile equilibrio fra affettività, cura degli altri da una parete e egoismo, ambizione, successo dall'altra. Però quello che è più universale, al di là delle vicende e dei personaggi fin troppo costuiti ad arte, è la maniera con cui l'interiorità dei personaggi viene rappresentata. C'è la creazione di un contesto emotivo (l'intreccio, la costruzione scenica, il prodursi di momenti rivelatori e decisivi) che da solo produce una profonda reazione nell'animo di chi guarda; gli attori non devono fare altro che trattenere i sentimenti per poi farli scoppiare, tutto con molta misura, tanto da raggiungere il concetto di idealità e perfezione sentimentale. Cioè nel nostro immaginario, se dobbiamo pensare ad "amore", "affetto profondo", "conflitto interiore", "scelta di vita", penseremmo proprio a situazioni e a sensazioni interiori tali e quali a quelle che questo film ci fa vedere.
Almeno a me ha dato questa impressione. Le vicende, i personaggi saranno falsi ma il sentimento è terribilmente, drammaticamente vero. Così almeno io l'ho percepito.
Forse questo film oggi può apparire datato (anche se la vicenda "razziale", sotto altre spoglie, è ancora attualissima) è probabilmente lo è. Il film stesso è una specie di termine nella parabola ideologica del cinema di Sirk, il film che testimonia il tramonto e la sconfitta di una determinata idealità. Chi ha visto i film di Sirk, riconosce la tipologia dei personaggi come quello di Annie. Lei come Bob Merrick è preda della "magnifica ossessione", cioè il piacere derivante da fare il bene senza chiedere niente in cambio, cioè traslare il proprio piacere nel piacere che facciamo provare agli altri. In "Magnifica ossessione" questo impulso viene rappresentato nel suo fulgore puro, nella sua purezza ideale. Con "Secondo amore" si comincia a metterlo alla prova delle convenzioni sociali, in "Lo specchio della vita" se ne certifica l'impossibilità pratica e la sconfitta. Il destino di Annie è quello di rimanere sempre relegata in ruoli secondari, per lo più "usata" da altri. Ma la cosa peggiore è che non è riuscita a "trasmettere" il suo modo di vivere alle generazioni future, a sua figlia; la società , le sue chimere, i suoi pregiudizi hanno avuto il sopravvento e hanno portato sua figlia Sarah Jane addirittura a rinnegare completamente ciò che sua madre rappresenta. Sconfitta peggiore non ci poteva essere. Per questo un personaggio come Annie a noi pare strano, quasi irreale. Allora invece era sentito come qualcosa di vero, come possibile.
E' Sarah Jane quella che "vince". Lei rappresenta le generazioni future, il '68, quelle che decideranno di scardinare l'ordine morale costituito con le sue barriere etiche e sociali: sarà un ordine più libero ma più edonista e più materialista.
Ciò che non verrà scardinato è invece l'ordine economico. Il grande limite di tutte le "critiche" hollywoodiane è che rimangono sempre in un contesto morale, non entrano nel merito delle ingiustizie, non ne cercano le cause vere nel campo economico e sociale. Questo film non fa eccezione, con l'accettazione della divisione in ricchi e poveri presa come naturale, con l'occasione (l'illusione) per i poveri di avere successo se hanno talento e fortuna. La prospettiva è sempre individuale e mai collettiva.
C'è però qualcosa che non è per niente datato ed è la splendida, meravigliosa tecnica di ripresa. Mai punti di ripresa sono stati più azzeccati con un'alternanza di punti di ripresa dall'alto, dal basso, campi lunghi, medi e primi piani che si susseguono alla perfezione, movimenti di macchina e piani sequenza suggestivi ma allo stesso tempo molto naturali (altro che "L'infernale Quinlan" di Orson Welles), soprattutto quando scivolano lentamente per inquadrare uno specchio, il quale duplica la realtà, ci aggiunge riflessione (in tutti i sensi). Sono rimasto a bocca aperta, davvero. Sirk insieme a Bergman è il regista che meglio di tutti ha saputo usare gli specchi come strumenti di suggestione filmica.
Peccato per qualche momento forse un po' troppo retorico e per le forzature nella sceneggiatura, altrimenti sarebbe stato un capolavoro.
Comunque, ribadisco: "Lo specchio della vita" è un film profondamente pessimista. Per questo Sirk ha smesso di fare film.