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HOLY SPIDER regia di Ali Abbasi

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Thorondir     7 / 10  13/02/2023 17:11:45Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Durante la visione di questo film (in lingua originale) la mente mi è tornata più volte ad un altro film iraniano che tratta gli stessi temi. Sto parlando de "Il cliente" di Ashgar Farhadi. Anche in quel caso si tratta di prostituzione, subordinazione della donna, violenza maschilista e reazione popolare: proprio su quest'ultimo tema però il film di Abbasi ha uno scarto; Farhadi ci diceva (e lo diceva soprattutto a noi occidentali, un po' all'oscuro della realtà iraniana) che in fondo anche la borghesia urbana intellettuale può essere profondamente tradizionalista e finanche ottusamente vendicativa, smentendo le credenze che vogliono la borghesia iraniana delle grandi città poco in sintonia con un certo tradizionalismo moralista. Abbasi ci dice invece che gli strati più popolari (il film ha un humus sociale diverso da "Il cliente") di fronte ad una vicenda così dura e cruda sono inclini al più retrivo giustificazionismo. Il film di Abbasi arriva a dirci questo tramite quello che è un film di genere a tutti gli effetti: un thriller politico con cui raccontare - soprattutto al mondo occidentale - il ruolo di segregazione della donna nella società iraniana e la quotidianità di violenza, sopruso e maschilismo. Scelta politica doverosamente da condividere. E però, mi permetto di dire avendo un po' studiato la storia contemporanea di quel paese, scelta che pende troppo su di un sensazionalismo efficace ma anche un po' scorretto: dove Farhadi esaltava la sua scrittura, la sua grande capacità di lettura e di racconto delle contraddizioni umane e sociali iraniane, qui Abbasi rende tutto binario, semplifica, smussa e riduce il tutto ad un sostanziale bene (donna, giornalista vessata, chador per necessità ma maglietta degli Iron Maiden per convinzione) vs male (il killer). Ne viene fuori un racconto che mi è sembrato ambientato in Iran ma scritto innanzittutto con uno sguardo occidentale (alcune scene ammiccanti si potrebbero citare, ma in tal caso basta la svolta che risolve la vicenda, politicamente connotata ma anche implausibile). Se però il film pecca nel come decide di raccontare la vicenda dove Abbasi fa di nuovo centro è nella capacità di non smussare (questo sì) la potenza delle immagini, di lasciar parlare, quando occorre, oscurità, messa in scena, musica (e visto al cinema si percepisce tutto l'ottimo lavoro d Dirkov). È in definitiva un buon thriller, solidissimo sul piano tecnico/visivo e che forse sarebbe risultato anche più riuscito se fosse stato meno "unilaterale" sul piano narrativo.