caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

LE OTTO MONTAGNE regia di Felix van Groeningen, Charlotte Vandermeersch

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento kowalsky     8½ / 10  03/01/2023 06:49:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Diciamo subito che la rilettura del testo di Cognetti permette allo spettatore di conoscere la fonte letteraria e le intenzioni dello scrittore senza avere letto il libro. E non è poco. Io stesso non avrei voluto leggerlo. Non perché io sia allergico al fascino della Montagna, ma per l'incapacità, appunto, di esprimerla, di farla parlare, oltre le suggestioni Visive e il richiamo a un'ascetismo ravvicinato che sembra logico definire artificioso. Del resto, a parte rare eccezioni cfr. La bella maledetta di Leni Riefenstahl, il primo film di Ermanno Olmi è un recente film di Ostlung, raramente nella storia del Cinema hanno saputo "far parlare" le Montagne. Nella letteratura, è un discorso diverso. Da Rigoni Stern all'esistenza Primordiale di Mauro Corona, passando per Herman Hesse, a cui Cognetti certo avrà pensato, sperando forse invano di coglierne l'essenza del viandante-filosofico. Qualche frammento del film rimanda a "Into the wild" di Sean Penn, ma più nello spirito che nella forma. Per quanto mi riguarda il grosso limite di "Le Otto Montagne", anzi l'unico, sta nel sollecitare gravemente le aspettative dello spettatore, quello che vedrà e, purtroppo, le conclusioni che trarrà, senza occuparsi ulteriormente di approfondire certi suoi interrogativi. Sull'umanita', sull'amicizia, sul nostro ruolo nella terra. Sui sogni che avevamo e che avrebbero gli altri (siamo noi) se la vita non avesse "scelto" per noi di relegarli a un habitat. Il protagonista è come il Novecento di Baricco, appolaiato in un margine che molti sognano, da ipocriti, come fuga dalle insidie del mondo ehm urbano. Se vi dicessero tutti che vorrebbero fare una vita intera a parlare di mucche e pascoli e sentieri, beh non credeteci. È questo idealismo gratuito e poco temerario a insinuare il sospetto di un film che, purtroppo o per fortuna, è a dir poco splendido. Un sospetto che non tiene conto di tanti elementi, fra tutti il fatto che questa grande Amicizia (ancora Hesse) non aveva tutte le carte in regola per dirsi Intoccabile. Se credo che il mio miglior amico di Montagna non debba avere un Sogno e non possa coltivarlo, mi sbaglio. È una storia che parla a due uomini che vivono male il loro habitat, poi uno ci si adegua per sempre e l'altro cerca altrove (il Nepal) la Fonte dei suoi desideri. E vivi in una delle più belle città d'Italia, Torino, non a Crotone Foggia o Marghera... La regia, oltre ogni riserva, è ammirevole. I cineasti evitano ogni referente morboso, saltando abilmente tutti i cliché e quello che poteva essere un racconto didascalico o prolisso. La stessa "casa/dimora" dove si costruisce una sorta di Tempio dove la Natalità fraterna o paterna è ora coercitiva/inevitabile ora mero Alibi affettivo, ha il respiro del cinema western e il lirismo empatico proprio di certa letteratura tedesca. Ripeto, è un film che va visto e vissuto da altre angolazioni. Se si commette l'errore di preservarne la natura intimista e idealista, si perde contatto con la sua autentica bellezza formale, con la sua fisicità morale. Non crediate nella bellezza delle Montagne, ma in tutto ciò che regna oltre questi aspetti.