Dom Cobb 9 / 10 31/12/2022 19:46:54 » Rispondi Dopo aver salvato l'ennesimo villaggio dall'ennesima minaccia, il Gatto con gli Stivali scopre di aver appena consumato la sua penultima vita. Nel tentativo di recuperare quelle che ha perso, decide di partire alla ricerca della leggendaria stella dei desideri, costretto suo malgrado a unirsi alla sua ex fiamma Kitty Zampe di Velluto e un allegro cagnolino di nome Perrito e braccato senza tregua da un sinistro lupo bianco e dagli occhi rossi... Non sono il tipo da utilizzare iperboli per descrivere qualcosa che mi è piaciuto o meno, ma d'altra parte non posso neppure negare l'evidenza: tra "The Bad Guys" e ora questo inaspettato seguito su uno dei gatti più amati della celluloide, la DreamWorks è tornata in ballo in grande stile, spazzando via la concorrenza Disney/Pixar. La cosa è insolita per più di un motivo: non solo per gli anni che separano il sequel dall'originale, ma anche il team creativo dietro la pellicola, a cominciare da Joel Crawford e Paul Fisher, regista e sceneggiatore del sequel dei Croods, per non parlare di uno stile animato che, specie se visto sullo schermo del computer, potrebbe spiazzare e apparire poco curato. Invece, meraviglia delle meraviglie, il risultato finale è un prodotto che va al di là di ogni aspettativa, una delle più belle sorprese dell'anno. Lo stile visivo è smagliante, dai colori sgargianti e numerose influenze da parecchie scuole d'animazione diverse tra loro, con un uso di luce e tinte pastello che certo, potrebbe ricordare il famigerato "Into the SpiderVerse", ma richiama alla mente anche lo stile anime mescolato a quello più standard da libro di fiabe. Come il precedente "The Bad Guys", questo dà vita a scene d'azione e combattimenti dall'impatto sbalorditivo, che sfruttano al massimo spartani, essenziali movimenti di macchina e una stilizzata tavola cromatica, rosso, bianco e nero in particolare.
Ogni incontro con il lupo bianco, tra il rifulgere bianco delle sue falci e quello rosso dei suoi occhi, è emblematica in tal senso.
Ma a convincere davvero e a porre questo seguito diverse spanne sopra il mediocre primo capitolo, sono i contenuti: stavolta viene trovata una storia in grado di rendere giustizia non solo al titolare Gatto, ma anche a tutto il cast secondario messo in campo, personaggi a tutto tondo caratterizzati da dinamiche che gli conferiscono inaspettata profondità e tutti dotati di un preciso, anche se prevedibile arco narrativo.
Fra tutti colpisce la dinamica tra Riccioli d'Oro e i tre orsi, in cui la ragazza diventa un'orfana ufficiosamente adottata ma incapace di vedersi come vero membro della famiglia, essendo di fatto non un orso; e in cui anche dopo averlo rivelato con una certa insensibilità, Mamma Orsa decide comunque di portare Riccioli d'Oro fino alla stella solo per renderla felice.
In effetti, è ingegnoso il modo in cui la storia si dipana così da mostrare il carattere di ciascun personaggio senza perdersi in spiegoni o divagazioni, senza mai allentare il ritmo eppure andando a toccare temi insoliti per un prodotto di uno studio che, negli ultimi tempi, sembrava essersi adagiato su prodotti a uso e consumo esclusivo di un pubblico infantile.
Il tema portante del film, in fondo, è la paura della morte e la forza che occorre per combatterla e accettare che una vita sola, vissuta fino in fondo, è più che sufficiente; e il modo in cui viene portato sullo schermo sfrutta al massimo l'elemento visivo, riducendo al minimo le battute che lo possano spiegare a parole (brillante la scelta di far cambiare il percorso attraverso la Foresta Oscura a seconda di chi tiene la mappa, rivelando le paure e i lati più bui di ciascuno di loro).
I personaggi ne escono valorizzati: il Gatto con gli Stivali è spavaldo e spiritoso come suo solito, ma anche sopraffatto dalla grandezza della sua leggenda, messo faccia a faccia con la consapevolezza di una fine sempre più vicina e con gli errori commessi nel passato. Kitty affronta nuovamente i suoi traumi di abbandono e abuso e il piccolo Perrito, bizzarra eccezione alla regola, rimenando sempre lo stesso eterno ottimista riesce a influenzare il cambiamento di entrambi (e non solo). Ma una menzione speciale la merita il villain: no, non Jack Horne, che comunque diverte senza sfigurare troppo. Mi riferisco al lupo bianco, personificazione della Morte dalla fredda e sarcastica presenza, che vive per l'ebbrezza della caccia e che in poche ma incisive apparizioni si impone come uno dei villain più riusciti in casa DreamWorks, alla pari di mostri come Lord Shen o Ramses. Ogni scena con lui protagonista è un intenso concentrato di tensione da brivido.
Da notare lo scontro finale, che si conclude con l'inevitabile verdetto che la Morte e il Gatto si incontreranno di nuovo: la Morte non si può sconfiggere, prima o poi arriva per tutti.
Per anni la DreamWorks ha ristagnato nel relativo insuccesso e in una generale mancanza di interesse; con ben due titoli in un solo anno capaci di mescolare in modo magistrale commedia, azione, dramma e tematiche interessanti con dei personaggi più vividi che mai e uno stile visivo a dir poco scoppiettante, sono tornati in carreggiata e prego che in futuro possano sfornare altre gemme simili. Bentornata, DreamWorks Animation!