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GIGLIO INFRANTO regia di David Wark Griffith

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Invia una mail all'autore del commento Elly=)     9½ / 10  19/10/2012 21:37:55Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Griffith abbassa la cresta e lascia da parte le provocazioni per dar libero sfogo a nuove sfumature narrative, sia dal lato tecnico/artistico che da quello del plot griffithiano. Quello che salta agli occhi di questa pellicola è sicuramente il volto di eterna bellezza della giovane (o meglio ringiovanita) Lilion Gish (la più grande diva del cinema hollywoodiano dei primi anni, la quale comparirà in molti film del pioniere cinematografico statunitense). La lucentezza del suo volto, risaltata da complessi ingegni tecnici, rimane eterna, ma la scelta di questa eterea visione che perseguita dolcemente tutto il film non si ferma allo scarno divismo (come poteva essere in quegli stessi anni in Italia) ma la scelta registica vuole dar voce a quello che il personaggio rappresenta, l'innocenza femminile, nel particolare l'innocenza di una bambina che entra in contatto con un mondo così lontano dal suo, una purezza isolata nell'inquadratura e nella storia, un fiore intoccabile. La capacità di DG sta anche nel non far apparire la giovane come una bajour ma di saper integrare con perfetta sintonia il candore della piccola con l'ambiente esterno, pieno di crudeltà. Un'ambientazione che assume triplici significati: per lo spettatore il degrado sottoposto è alto, una Londra avvolta nella nebbia e nella povertà, che vede il netto schieramento tra buoni e cattivi, per il cinese diventa una scenografia in cui nascondersi, il suo habitat perfetto, una protezione che lo avvolge insieme al mistero, per la bambina appare tutto così affascinante, un mondo originale e magnetico. Ma DG è furbo e usufruisce di escamotage che vedono l'inserimento di oggetti vari che rimandano immancabilmente al mondo infantile della giovane protagonista.
Personalmente vedo una spaccatura dell'armonia solo dal lato tecnico in alcune parti del film, quando gli attori guardano in macchina, per noi spettatori di oggi non ha molto senso e il nostro inconscio lo rifiuta, ma è possibile, anzi certo che all'epoca fu qualcosa di innovativo, anche se a dire il vero in Italia lo sguardo in macchina era utilizzato già da anni, ma in fondo si sa che DG fu una geniale (bastardissima) volpe che frugò tra le pellicole italiane e ne trasse le parti migliori, ma che colpa possiamo attribuire a questo Tarantino del primo '900 se da questo lato gli italiani sono sempre stati un pò ********, incapaci di superare quel muretto che generazione dopo generazione non abbiamo mai saputo scavalcare, a parte qualche caso.
Tornando al rapporto personaggi ambiente trattato sopra è giusto dedicare qualche riga anche al rapporto tra i personaggi, in particolare a questa"storia d'amore" tra la piccola e il cinese. Lei da ragazzina vede il mondo senza alcuna malizia ma il cinese, adulto, la malizia ce l'ha. L'amore della ragazzina è platonico e si basa sull'affettività o meglio sulla mancanza di affettività da parte del padre violento che lei per l'appunto ritrova nell'uomo dal volto asiatico, un uomo rilegato all'istinto carnale ma consapevole del fiore intoccabile che ha tra le mani. L'idillio è proprio questa l'illusione incentrata sull'amore (differente, se non opposto) che i due si creano reciprocamente.
Il tragico finale che vede faccia a faccia il cinese e il padre si articola in un duello dove le nazionalità si ribaltano, il padre usa un'accetta, arma molto usata in Cina e il cinese pronto a sferrare il colpo con una pistola che ricorda il far west. La crudeltà del west sopravale sulla calma buddista ma il pentimento non arriva con tarda tempestività in un finale catartico. Al tempo questa scelta di far morire tutti probabilmente non avrebbe avuto successo, in fondo la gente andava al cinema a divertirsi e il lieto fine era scontato, ma incredibilmente questa scelta ne comportò un successo internazionale. Questo fu molto importante per chi studiava cinema perché capì che il pubblico stava cambiando, le persone anche se poste di fronte ad un'opera dai tristi lineamenti arrivava ad un'identificazione con i personaggi più completa, in quanto questi ultimi erano molto più umani degli eroi presentati finora, personaggi che hanno un loro carattere e una loro ombra, personaggi che sbagliano ma che si sanno far amare. L'ultima inquadratura (quella dell'uomo che suona il gong) è rimasta nell'immaginari collettivo, la stessa inquadratura che vediamo all'inizio, e che assume un significato marchiante: il gong ha dato inizio alla storia così come le ha dato fine, un gong che crea nello spettatore la consapevolezza che quella storia assume un determinato valore per lui che ha assistito ai fatti, ma che in fondo potrebbe essere una storia come tante, intrecci di vite in una Londra avvolta in una fredda nebbia del secolo scorso.