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DAHMER regia di Carl Franklin, Clement Virgo, Jennifer Lynch, Paris Barclay, Gregg Araki

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Zazzauser     6 / 10  28/10/2022 00:42:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Di base non sono per niente tipo da serie tv, ma il clamore generato da questa serie mi ha spinto a guardarla, sperando fosse una drammatizzazione decente (anche perche a quanto pare il film del 2002 con Renner non lo é) della vita del famigerato cannibale di MIlwaukee.
Le aspettative non sono state del tutto disattese ma siamo di fronte a un prodotto fin troppo generalista, un tipico prodotto Netflix all-audiences che oltre a dover fare i conti con un certo dovuto correttismo (il rispetto per le vittime e per le loro famiglie) non puo' fare a meno di giocare col fattore empatia col protagonista (per quanta se ne possa provare).

Il risultato é che gli aspetti piu' truculenti e deviati dell'abisso mentale di Dahmer non vengono affrontati con forza preferendo indugiare sulla descrizione di un ragazzo tormentato dalla sua omosessualita' e dal suo senso di inadeguatezza.
Trovo apprezzabile che non venga descritto con il solito stereotipo cinematografico del macellaio psicopatico incapace di alcuna empatia o di discernere il bene dal male (anche perche' era pienamente in grado di farlo) ma si tratta comunque di una personalita' complessa e fortemente disturbata, e a questo a parer mio non viene dato il giusto peso.

Ci sono episodi molto belli, uno su tutti "Silenced" sull'omicidio di Tony Hughes, dove il focus sulla -persona- che sta dietro alla vittima fa esplodere il vero lato drammatico della vicenda e fa emozionare. Forse sarebbe stato il caso di imboccare piu' spesso quella direzione, ma anche lí, era il caso di romanzare cosi tanto il rapporto di Dahmer con Hughes (che a un certo punto diventa quasi romantico)? Sappiamo che Dahmer cercò spesso di reprimere le sue compulsioni e di comportarsi come una persona "normale", ma sappiamo anche che Hughes fu, alla fine, solo un altro degli sfortunati adescato in un nightclub e finito trucidato la notte stessa con del cloroformio nel cervello. Non c'era nessun tipo di rapporto speciale con nessuna delle sue vittime: insomma di licenze ce ne si concede (come in un certo grado e' giusto che sia in un prodotto fiction, non-documentario, per quanto ispirato a storia vera) ma e' chiaro che questo può non piacere.

L'altra grande licenza e' quella su Glenda Cleveland, mai stata vicina di stanza di Dahmer, che tutt'a un tratto si affilia al reverendo come paladina dei diritti degli afroamericani (quanto piace agli americani indugiare sugli aspetti ideologici di qualsiasi cosa). Il risvolto razziale é un aspetto che contesto e periodo storico che fan da sfondo alla vicenda giustamente richiamano (Rodney King, per fare un esempio), pero' quanto spazio e quanta pomposita' concessa a questo risvolto di trama quando tutti sanno -benissimo- che le azioni di Dahmer non erano motivate da -alcuna- sovrastruttura razziale, di classe sociale o orientamento sessuale.
Perche' invece non affrontare quella riflessione in relazione alla figura e alle azioni di Scarver, che agi' -davvero- per vendicare i "fratelli neri" (da lui sempre dichiarato)? Perche' non concedere dello spazio a Jesse Anderson, l'altra vittima di Scarver, quello che accoltellò a morte la compagna e poi cercò di incastrare due innocenti afroamericani (e qua il razzismo si taglia col coltello, altro che Dahmer)?
Da qui: come e perché nasce e cresce l'intolleranza e la violenza razziale, in entrambe le "direzioni"? Si preferisce ricordare Scarver come una specie di eroe che, infastidito dalle boutade di Dahmer con le cosce di pollo, dopo aver ritrovato D.io decide di aprirgli la testa nella palestra della prigione; mi sa che invece era solo un altro spostato omicida in preda a deliri messianici..

Un aspetto su cui invece "Dahmer" rende giustizia alla realta' dei fatti e' invece quella relativa alla vergognosa incompetenza della polizia, soprattutto riguardo al fatto di Konerak Sinthasomphone: a tutt'oggi ancora nessuno si riesce a spiegare come abbiano fatto Balcerzak e Gabrish a smollare a Dahmer un quattordicenne che di notte girava per strada nudo, sanguinante e incapace di dire una parola nonostante tre persone li pregassero di fare degli accertamenti: ancor meno si riesce a capire come abbiano potuto essere sospesi, reintegrati dopo alcuni mesi, stipendiati per starsene a casa e in futuro persino promossi.

In definitiva non posso dire che "Dahmer" non mi sia piaciuto, esplora montandole intelligentemente tutte le fasi della vita di Dahmer, dall'infanzia all'etá adulta alla morte, compresi i suoi periodi di cool-off e di repressione; parla delle sue vittime piu' conosciute (Hicks, Tuomi, Sinthasomphone, Hughes, Edwards) dandogli a tratti anche un certo spessore, cio' che gli manca pero' e' audacia, fedelta' e oggettivita' nell'affrontare certi risvolti di una vicenda cosi' complessa.
Bravissimo Evan Peters e molto bravo Richard Jenkins (perfetto come Lionel Dahmer in ogni dettaglio)