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L'IMPERATRICE CATERINA regia di Josef von Sternberg

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kafka62     7½ / 10  10/02/2018 19:30:40Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'allucinata fantasia di Sternberg ha trovato nella storia di Caterina II di Russia il pretesto ideale per materializzarsi in immagini del più folle e delirante barocchismo mai visto al cinema. Parlare de L'imperatrice Caterina è anzitutto parlare della sua scenografia: fastosa, eccessiva e visionaria, con il suo gusto inequivocabilmente espressionista, con le sue statue prive di ogni referenzialità con l'ambiente che le circonda (demoni, santi trafitti da frecce, enormi uccelli sovrastanti il trono imperiale, ecc.), con le sue icone, i suoi tendaggi e i suoi giganteschi portali, è qualcosa di più di una semplice quinta, di un mero elemento pro-filmico in grado di fungere da contenitore di immagini cinematografiche; essa è un vero e proprio personaggio che interagisce con gli avvenimenti, svelandone la natura irrimediabilmente melodrammatica e teatrale. Il film infatti è – e non si perita di dimostrarlo in tutti i modi – il trionfo del kitsch più sfacciato e fasullo, tanto artificiale ed esornativo quanto il suo décor di cartapesta (e certe scene, come l'irruzione finale dei cavalieri nel palazzo imperiale sfiorano persino il ridicolo). La meccanica del potere in tutte le sue varie fasi (la conquista, il rafforzamento, la salvaguardia contro i nemici esterni) è pertanto vista secondo un'ottica superficiale, da operetta (e proprio come un'operetta, o meglio ancora come un film alla Marishka, inizia L'imperatrice Caterina, con la sola eccezione delle fantasie orrorifiche – visioni di supplizi e torture degne di Bosch – che passano per la testa di Caterina bambina).
Tra pacchianerie assortite e cadute di gusto nella messa in scena (ma Ejzenstejn stesso fu in qualche modo influenzato dal film per il suo Ivan il Terribile), lo stile di Sternberg riesce ugualmente a trovare una cifra espressiva non banale, grazie soprattutto alle strabilianti panoramiche rese possibili da un uso rivoluzionario di gru e carrelli. Nella sequenza-capolavoro del banchetto nuziale, ad esempio, la macchina da presa carrella lentamente sopra la tavola, imbandita come al solito senza alcun senso della misura (vi sono eccentrici scheletri portavivande, piatti a forma di cigno, candelieri dalle fogge più stravaganti), e, una volta giunta all'altezza dell'imperatrice seduta al suo capo, torna indietro con altrettanto studiata lentezza, ma questa volta alzandosi gradualmente e allargando in tal modo l'inquadratura a comprendere gli ospiti seduti tutt'intorno; dopo uno stacco, una seconda carrellata laterale a riprendere i nobili dediti alle libagioni ottiene un effetto di non minore suggestione.
L'imperatrice Caterina è, ovviamente, anche il film di Marlene Dietrich, ma bisogna aspettare più di metà pellicola, dopo averla vista bamboleggiare a lungo con un'aria infantilmente timida e spaurita durante il suo ambientamento alla corte di Elisabetta, per assistere alla sua trasformazione in femme fatale cinica e sfrontata, vale a dire il ruolo che più le si addice. Quando, dopo aver passato in rassegna l'esercito, si mette impudicamente una spiga di grano tra le labbra per parlare con il conte Alessio, e si rivolge poi al tenente che l'ha messa incinta ammonendolo a farsi trovare sempre pronto per qualsiasi altra emergenza, la Dietrich irradia intorno alla sua figura una carica di seduzione fascinosa e magnetica, cui è oltremodo difficile sottrarsi. Pur accantonando la tentazione, sicuramente intrigante ma immotivata, di interpretare L'imperatrice Caterina alla stregua di una lucida analisi dei rapporti tra sesso e potere, non si può negare che l'erotismo impregna, con battute, allusioni e simbolismi, l'intero film, trasfondendo un alone di provocatoria e trasgressiva sensualità in ogni suo fotogramma.