TRE PIANI regia di Nanni Moretti

Nel libro di Nevo i tre piani fanno riferimento alle tre istanze della psiche, Es, Io e Super-io, mentre Moretti li fa girare attorno alla propria morte. Foss'anche per meri motivi autobiografici, Nanni è sempre più interessato ad affrontare tale tema: la morte della madre, la morte d'un figlio, la morte della moglie e stavolta la sua. È solo una delle storie trattate nei tre atti di tesi, antitesi e sintesi, ma è quella più sentita se non altro poiché apr'e chiude il film. Che cos'avverrà quando non ci sarà più, non al mondo che magari se n'infischia, bensì alle persone care, le più vicine, i familiari? Forse potrebbero trovare un nuovo equilibrio persino migliore: la lor'esistenza può far'a meno di lui, può addirittura diventare più semplice, facile, vivibile qualora il regista liquidi se stesso e la propria indole saccente, sentenziosa, pontificante, predicatoria, moralista, i panni del Lucignolo, prete, psicoanalista, giudice, per ammettere che la figura paterna sia un intralcio per la simbiotica felicità ottenibile tramite femminea empatic'amorevolezza? Ammesso e non concesso che l'intenzioni fossero buone, come fa dire a Margherita Buy, i risultati sono però una catastrofe, come dice il figlio. La palazzina romana (Rione XXII Prati, via Montanelli) è un covo di borghes'in disfacimento dove Moretti e il suo cinema si sono sempre più impantanati, e dal 2001 la Croisette cannesiana ha distrutto il suo stile registico trasformandolo in un epigono superfluo del cinema francese, Rohmer e dintorni. Un onirico visionario tramutato in letterario che del fellinismo conserva l'unica scena del tango/milonga per strada da lui osservato in disparte, non (più?) partecipe.