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A PROPOSITO DI SCHMIDT regia di Alexander Payne

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kafka62     7 / 10  18/04/2018 14:23:47Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Warren Schmidt è l'uomo qualunque che, alle soglie della pensione, dopo una esistenza normalissima (una carriera ineccepibile, un matrimonio tranquillo, una figlia laureata, un confortevole benessere), si trova a stilare il resoconto della sua vita e a fare i conti con quel senso di inutilità, di vuoto e di solitudine così tipici degli ultrasessantenni (e che abbiamo già visti in tanti, troppi film sulla crisi della terza età). Sennonché la sceneggiatura, dopo averci concesso il colpo di scena della morte della moglie e della scoperta da parte di lui di essere stato da lei tradito in gioventù con il suo migliore amico (ricco quanto prevedibile pretesto per un successivo itinerario spirituale di riscatto e palingenesi), abbandona il nostro eroe sulle strade di un'America per nulla affascinante, in un falso on the road movie in cui non succede niente di rilevante e dove il protagonista si aggira senza sapere bene cosa fare e come comportarsi. O meglio, uno scopo ce l'avrebbe (impedire alla figlia di sposarsi con il mediocre venditore di materassi con cui è fidanzata), ma il suo tentativo non esce neppure dallo stadio delle intenzioni. Il film diventa quindi cifra stilistica ed emblema del vuoto e del nulla in cui si dibatte l'uomo moderno, il quale, fino a quando lavora e si riproduce, può illudersi di avere un ruolo essenziale nella società e nella vita, ma nel momento in cui si ferma, invecchia e si avvicina alla morte finisce inevitabilmente per essere assimilato a quegli scatoloni destinati al macero in cui vengono rinchiuse le sue vecchie pratiche d'ufficio. "Statisticamente mi restano nove anni da vivere", dice Warren, esperto di calcoli attuariali, "bisogna che non sprechi più nemmeno un minuto". Sembrerebbe la classica affermazione velleitaria, smentita amaramente dal resto del film. Ma, nonostante tutto, il regista una speranza (e una morale) vuole ugualmente concederla al suo protagonista: e questa sta nell'infantile disegno che il bambino tanzaniano da lui adottato a distanza gli spedisce, simbolo di un'apertura al prossimo e di una disponibilità alla vita finalmente disinteressate e senza calcoli e aspettative.
"A proposito di Schmidt" è una pellicola stilisticamente dignitosa, ma a renderla quasi irresistibile è l'interpretazione magistrale di Jack Nicholson. Nicholson dilata a dismisura le sfaccettature del suo personaggio, rendendo ora tragico ora al contrario comico quello che al più poteva apparire patetico o caricaturale; e lo fa – in questo sta la sua grandezza – con una recitazione meno istrionica del solito, quasi sotto tono, che procede più per sottrazione che per accumulazione (come se avesse a mente la lezione di Buster Keaton e Jacques Tati). Il suo Schmidt, goffo e invecchiato, con l'espressione perennemente stranita (che in alcuni momenti, come nell'episodio del letto ad acqua o in quello della cena con la famiglia del genero, strappa risate di autentico spasso), diventa così una maschera allegorica e universale, nella quale tutti gli spettatori possono rispecchiarsi e, con divertito sgomento, riconoscere i propri fallimenti, le proprie frustrazioni e le proprie paure.