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LO STATO DELLE COSE regia di Wim Wenders

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ULTRAVIOLENCE78     8 / 10  29/06/2008 22:49:22 » Rispondi
Interessantissima riflessione sul cinema, sull’arte in generale nonché sull’esistenza dell’uomo.
Wim Wenders, raccontando la storia di una troupe che, nel bel mezzo delle riprese di un film i fantascienza (che sembra rivelare i germi della futura opera del regista tedesco “fino alla fine del mondo”), è costretta ad arrestarsi a causa dell’esaurimento della pellicola, mette in scena il gioco perverso che sta alla base della produzione cinematografica, dove tutto si regge sulla logica della “sub-ordinazione”: gli attori, lo sceneggiatore e il regista dipendono tutti dal produttore che, a sua volta, è costretto a mettersi nelle mani di loschi finanziatori-speculatori. Al di sopra di tutto incombe il Dio Denaro, del quale ciascuno è succube e al quale ciascuno è coattivamente legato per portare avanti e realizzare i propri progetti.
L’interruzione della lavorazione del film determina una dimensione di sospensione, una sorta di limbo nel quale ciascun elemento della troupe, astratto dalla frenesia del quotidiano, si ritrova a riflettere sullo “stato delle cose”, percependo il non-senso della “non-vita routinaria” a cui si contrappone la bellezza della natura che, colta nei chiaro-scuri da cui è informata, sembra costituire il ribaltamento della “visone del mondo”. E’ come se il tempo stesso si fosse fermato, ma in realtà il clima di sospensione non è altro che il riflesso del concetto di ciclicità dell’esistenza reso figurativamente dalla “location”: una cittadina portoghese dominata dalla vastità del mare simbolo dell’infinito.
Agli antipodi del placido, e quasi mistico, scenario lusitano si pone la realtà della metropoli americana della celluloide: Los Angeles. Questa è rappresentata nell’alveo dello stridente contrasto su cui si fonda il “menzognero” American Dream: allo scenario fulgido e sfavillante della città degli angeli colta nel chiarore del giorno, nel quale si stagliano rilucenti e specchiati grattacieli, fanno da contraltare le immagini notturne della stessa che, simultaneamente al disvelamento dell’arcano che stava dietro la “scomparsa” del produttore, contribuiscono a far luce sulle logiche amorali e spietate su cui si impernia il mondo degli affari. La rincorsa al denaro ed al profitti finisce per influenzare anche il mondo dell’arte, mortificandola a degradandola a infima merce di scambio. All’estro ed alla capacità di improvvisazione del regista, che è l’essenza e la vita stessa della sua arte, si sostituisce l’”oggetto-soggetto” commerciale-commercializzabile che decreta la morte della sua tensione artistica (“il soggetto è morte”). Anche l’ultimo tentativo disperato di dare vita a qualcosa di vivo e improvvisato, riprendendo la morte nel suo contestuale compimento, sarà neutralizzato dall’azione dei finaziatori malavitosi: e la morte dell’arte coinciderà con la morte dell’artista.
“Lo stato delle cose” è un film complesso e pregnante, che tuttavia indulge in talune lungaggini tipiche del cinema di Wenders. Ma la sequenza finale –credetemi- costituisce uno dei momenti più alti e geniali di tutta la cinematografia mondiale.