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SWEET SIXTEEN regia di Ken Loach

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     6 / 10  26/09/2006 08:21:29Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Elogio dell'invettiva sociale o definitiva conciliazione? Non saprei. Certo è che il cinema di Loach dimostra, esprime, racconta, ma la sua vena si è esaurita da anni.
Un vero fan, uno che ha visto e amato opere come "family life" o "ladybird ladybird" puo' senz'altro fare a meno di "Sweet sixteen". I neofiti riteranno di avere a che fare con un'opera d'arte, visto il tema trattato, ma non è così.
L'analisi di Loach è molto superficiale, a mio avviso, e in suo favore resta la descrizione della provincia scozzese, tra spaccio e povertà. Ma non basta.
Se Loach era (è ancora?) l'erede del Free Cinema inglese, non puo' arrogarsi il diritto di "filmare una sceneggiatura scritta dagli attori" perchè il cinema-verità è un'altra cosa.
E' facile infatti obiettare che questo Loach insolitamente corretto e neutrale non rientra nei suoi parametri, tantomeno la storia di Liam, che ha a che fare con una parola strana per un ragazzo, la sopravvivenza.
Il corpo di Liam è sempre a un passo dalla distruzione, prende calci, pugni, lividi di ogni tipo, che individua nella sua precoce maturità la resa inarrestabile della famiglia a una vita migliore.
Rispetto ai francesi Dardenne (puo' sembrare paradossale che un cinema che si opponga a Loach sia quello che fatalmente lo supera nell'interiorità psicologica prima che formale) il regista non prende posizione, anzi trovo deprimente l'aver trasformato il personaggio in una sorta di moderno Antoine (v. epilogo), ma guardacaso condizionando lo spettatore in un'identificazione "morale" con la malasorte.
E' un manierismo conciliante, che spera di far riflettere sul senso di alienazione del protagonista e, insieme, sulla bontà d'animo che agisce invano in un contesto negativo, e la dissolve.
Quando Liam arriva a compiere quello che molti di noi non speravano, è un'atto che costruisce il "clichè dei grandi sogni che portano a grandi incubi", un'alibi per provare solo un bisogno indegno di pietà.
E' un bel cinema ma i tempi d'oro forse sono tramontati per sempre.
Se poi la lezione di Truffaut è stata fraintesa (cfr. ancora Antoine e "I 400 colpi") non è colpa solo di Loach, ma forse anche nostra