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AMERICAN GIGOLO' regia di Paul Schrader

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Angel Heart     8 / 10  04/03/2014 21:01:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Film manifesto degli anni 80, transizione obbligatoria tra il vecchio cinema anni 70 (storia e sceneggiatura) e quello a venire (estetica).
Dirige un Paul Schrader in forma smagliante che ancora una volta si cimenta con disinvoltura in quello che sa fare meglio: narrare storie di persone dall'esistenza squallida sempre rilegate ai margini della società, nel caso specifico imbottendo il racconto di una carica erotica estremamente affascinante (almeno ai tempi).
Il protagonista, un allora semi-sconosciuto Richard Gere, con questo film diventerà un sex-symbol e proietterà la sua carriera verso un'infinità di ruoli privi di maledettismo ma sempre ricalcati sul modello fighètto di Julian Kay; io sono tra i primi a denigrare le abilità recitative ed il volto da sberle del noto attore, tuttavia non posso negargli il merito, anche se a mio avviso si tratta più di fortuna ricavata dall'aspetto che altro, nell'aver avuto buon fiuto nella scelta dei primi ruoli da interpretare (questo, "I Giorni del Cielo" e "Ufficiale e Gentiluomo", indubbiamente i suoi film migliori); d'altro canto, anche sforzandomi, non riuscirei ad immaginare nessun altro attore più adatto alla parte di lui (che avrei visto perfetto anche nel ruolo di Pacino nell'analogo, almeno per certi versi, "Cruising" di Friedkin).

Anzitutto da lodare il livello tecnico della pellicola, di classe sotto tutti gli aspetti, regia, fotografia, luci, colori, auto abiti e pettinature, tutto creato perfettamente ad hoc per rendere al meglio l'idea del mondo glamour e di lusso cha fa da sfondo alla vicenda (accentuato anche dal narcisismo del protagonista) ed alimentare, almeno in parte, l'invidia dello spettatore medio maschile (che, inutile negarlo, sogna fin dall'alba dei tempi di fare una vita del genere).
Nella prima mezz'ora di film vediamo Julian destreggiarsi con naturalezza tra belle donne, droga, ristoranti e negozi, e discutere le varie "offerte di lavoro" con i suoi due protettori principali (rimane impresso Bill Duke nei panni del viscido Leon, veramente bastardo); poi però la vicenda prende piede sempre più cupa e cattiva fino a sfociare nel thriller, ed è proprio qui che il film si fa interessante, principalmente per due motivi. Primo, perchè il vortice in cui viene risucchiato Julian improvvisamente e senza spiegazioni tiene lo spettatore con il fiato sospeso, nonostante un ritmo non sempre vivace, fino all'arrivo dei titoli di coda (indimenticabile la scena in cui Julian comincia a mettere sottosopra il suo appartamento preso dalla disperazione); e secondo, cosa molto più importante vista la firma in regia, perchè mette in risalto i tratti caratteriali e gli aspetti negativi della vita condotta dal protagonista che prima viveva su un piedistallo convinto di essere il padrone del mondo e ora viene spogliato e smontato scena dopo scena nella sua facciata, nell'intimo, e in quei pochissimi valori morali che possedeva. La bambagia in cui vivevi fino a prima (stereo all'ultimo grido, abiti firmati Armani, auto di lusso) non vale più niente, e tutte le persone "amiche" che un attimo fa erano al tuo cospetto ora ti voltano e ti pugnalano alle spalle, lasciandoti a sprofondare da solo e nell'impotenza più totale. Tutte sensazioni che lo spettatore, grazie appunto alla classe di Schrader, sente sulla propria pelle tanto quanto il protagonista.
In tal senso, si rivelano molto intense, nonchè fondamentali, le scene tra Julian ed il detective Sunday (interpretato da uno sgradevole Hector Elizondo), quest'ultimo che dovrebbe essere un rappresentante della legge e della giustizia che invece fa di tutto, attraverso frecciatine ed illazioni, per far colare a picco Julian per questioni sostanzialmente di invidia; ancora più potente l'incontro nel country club tra Julian e la moglie del politico che, con poche parole, gli sbatte in faccia la verità nel disprezzo più totale ("lei vive grazie ai favori di un numero ristretto di persone e grazie all'accoglienza in posti come questi. Lei è solo un parassita"). Parole forti che devastano ancor di più la realtà del protagonista e la percezioni di "bella vita" dello spettatore che, come detto più su, non può far altro che sentirsi solidale nei confronti di Julian (anche se, allo stesso tempo ed arrivati a questo punto, gli verrebbe un pochino da prenderne le distanze).
Allo stesso modo sono fondamentali anche le scene tra Julian e la dolce e sexy Lauren Hutton (ahimè invecchiata male) per tutto il film combattuta tra l'amore velato per Julian ed il dilemma di compromettere o meno la reputazione del marito, e l'unica persona in tutto il trambusto disposta ad aiutarlo, seppur nei propri limiti; non solo nell'intrigo che si viene a creare, ma anche nel colmare alle "debolezze" di Julian, oggetto di desiderio che conosce mille modi per soddisfare una donna ma zero per amarla.
Tutto questo per sottolineare la maestria di Schrader nel saper scoperchiare al 100% i personaggi emarginati (e i loro rispettivi universi) delle sue opere, siano essi taxisti ("Taxi Driver"), operai ("Tuta Blu"), marchette ("American Gigolò") o pushers ("Lo Spacciatore").
Oggettivamente è questo fattore a rendere "American Gigolò" un bel film.

Menzione a parte la merita l'ottima colonna sonora del grande Giorgio Moroder che in questo caso è davvero parte integrante del film; a parte le tracce musicali al sintetizzatore, che si abbinano perfettamente alle immagini, non si può pensare ad "American Gigolò" senza associarlo direttamente alla storica "Call Me" dei Blondie, tema portante cha ha contribuito a rendere la pellicola un cult a tutti gli effetti. Richard Gere, decapottabile, vento tra i capelli, e "Call Me"... le donne impazzirono all'istante tanto da dimenticare John Travolta e il suo Tony Manero.
Degna di menzione anche "Love and Passion" di Cheryl Barnes, messa a palla durante l'incontro tra Julian e Leon nella discoteca omosessuale (tra l'altro, altro merito, questo è stato tra i primi film a mostrare così accuratamente l'ambiente gay underground e lo stereotipo di pettorali oliati, cappelli da poliziotto ed indumenti di pelle che all'epoca serpeggiava e al quale ancora oggi tutti pensiamo quando viene menzionata la parola gay).


In definitiva, "American Gigolò" rimane un thriller solido e coraggioso, elegante e girato con classe, nonchè un ottimo affresco del lato squallido ed emarginato della società americana; con la solitudine a fare da comune denominatore.
Per molti è datato, oggi parte della critica ed una buona fetta di pubblico lo stronca senza tanti complimenti, ma personalmente, anche se lontanissimo dai miei preferiti, lo reputo uno dei film più rappresentativi e graffianti degli anni 80.

Da vedere, perchè sotto la patina c'è tanto tanto sporco.