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VITA DA CANI regia di Charles Chaplin

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amterme63     9 / 10  23/09/2008 23:59:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il 1918 porta con sé la grande novità di un nuovo contratto milionario con la First National. Stavolta la compagnia anticipa i soldi e Chaplin è liberissimo di spenderli come vuole. Decide le storie, le scenografie, i tempi, le persone. Basta che produca 8 film a 2 bobine. Per prima cosa si costruisce uno studio tutto suo per le riprese, poi si butta a capofitto nella sua grande passione: il cinema. Un impegno continuo, costante: crea, disfa, pensa, si pente. Gira chilometri di pellicola per ricavarne pochi metri. Per fortuna la fantasia non viene mai meno. Il duro lavoro è sempre premiato.

Questa fantasia continua a sfornare situazioni ambientate nelle periferie malfamate delle città. Con il mediometraggio A Dog’s Life (Vita da cani) si arriva alla rappresentazione più dura e realistica della povertà fatta all’epoca (e non solo). La descrizione della gente che vive in questo ambiente è desolante: poveracci che si fanno guerra fra di loro, ladri, prostitute. Eppure Chaplin vuole dimostrare – in polemica con i naturalisti – che l’ambiente non riesce a vincere del tutto sull’animo umano. C’è ancora chi crede nella solidarietà e la pratica. Queste sono le persone che valgono qualcosa.

Si inizia subito con il vagabondo che dorme sulla nuda terra. Anche così ha l’animo sereno. La fame lo porta però a commettere una piccola furberia (il furto di una salsiccia), vista però dall’onnipresente poliziotto (Tom Wilson) che lo vorrebbe arrestare. Segue una serie di gag che vedono il vagabondo vittorioso sui poliziotti, molto dileggiati. A questo proposito in quel periodo Chaplin ha dichiarato: “Se c’è una categoria che l’intera umanità guarda in genere con una certa antipatia è quella dei poliziotti…Si tratta della naturale antipatia per ogni forma di autorità”. Vedendo la scena viene da chiedersi perché un poliziotto debba perseguitare un semplice poveraccio che ha fame. Anche l’unico mezzo per sopravvivere onestamente, il lavoro, si risolve in una lotta all’ultimo spintone allo sportello del collocamento. Si ride, ma che amarezza vedere uno spettacolo del genere. Tanto più che Chaplin non ci risparmia lo spettacolo del vagabondo che fruga nella spazzatura.
L’accusa è netta: c’è gente che vive a livello di animali. Addirittura i cani hanno gli stessi problemi. L’altro protagonista della comica è infatti un piccolo randagio (Scrap), costretto anche lui a litigare l’osso con orde di cani famelici. Il vagabondo interviene però a salvare Scrap. La solidarietà ha avuto il sopravvento su qualsiasi altra considerazione e poi fra perdenti ci si deve aiutare; è il minimo che si possa fare. Un mezzo per sopravvivere comunque lo si trova, basta essere scaltri, come fregare tortine al chiosco di un ambulante (suo fratello Sydney). Non si può che ridere e simpatizzare con il “ladro”.

La comica prosegue sempre con singoli sketch stavolta ambientati in un bar malfamato, molto ben descritto. Sembra uno di quei bar dove si cantava e si beveva (e ci si prostituiva), frequentati dai genitori di Chaplin. Anche in questo ambientaccio c’è la persona di animo nobile che fa resistenza al mondo che la circonda; una cantante sentimentale (Edna Purviance) trattata da Chaplin comunque con molta ironia. Si coglie inoltre l’occasione della canzone strappalacrime di Edna per prendere in giro l’eccessivo sentimentalismo. Anche lei per sopravvivere si vede costretta a fare cose che non vorrebbe. Il padrone le dice: “se strizzi l’occhio e sorridi ordineranno da bere”. Lei fa l’occhiolino alla persona sbagliata, cioè al vagabondo, quello che non può ordinare da bere. Tutta la scena è una parodia della figura della vamp, della femme fatale. Entrambi, o senza un soldo o che non vogliono far guadagnare, vengono buttati inesorabilmente fuori da un ambiente dove il divertimento è solo a servizio del denaro.

Questo piccolo capolavoro purtroppo scade un po’ nel finale. Viene introdotta una di quelle convenzioni così comuni nel cinema dell’epoca, ma così improbabili nella vita reale. Per caso un ricco ubriaco passa nel quartiere malfamato e ovviamente viene derubato del portafoglio da una coppia di malfattori. Con tutta una serie di gag esilaranti (tra cui quella in cui il vagabondo accoppa un malvivente e lo fa “agire” al suo posto), cambiando continuamente proprietario, il portafoglio finisce proprio nelle mani del vagabondo e di Edna, i quali possono realizzare il loro sogno: vivere in campagna. E’ il classico lieto fine che ripara alle sgradevolezze mostrate per tutto il film, soddisfa lo spettatore ma rompe l’incantesimo di splendida descrizione di un ambiente e di chi ci abita.
Chaplin si avvede però di essere finito troppo nel melenso e colora la scena finale con una sottile ironia. Il vagabondo è diventato un improbabile agricoltore che semina facendo dei buchi nel terreno con un dito e mettendoci un seme per volta. La casa è tutta pizzi e trine e per giunta c’è una bella culla con … tutti si aspetterebbero il bebè del vagabondo, invece c’è Scrap con una bella nidiata di cuccioli (anche se Scrap è un maschio …).
L’idillio fa capolino nelle comiche di Chaplin e presto lo vedremo occupare parti importanti come in Idillio nei campi e Il Monello. Sta a significare che il sogno è una parte importante della vita, senza quello non c’è speranza.