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I DIAVOLI regia di Ken Russell

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Ciumi     8 / 10  25/01/2010 16:13:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Dato che il film non lo ricordo perfettamente, prendo ancora una volta spunto da una piccola considerazione scritta sul forum:

L'inferno non è che sofferenza terrena, che morte. I suoi simboli non sono che ciò che ad essi riconducono.
L'incendio, invece di provare ad estinguerlo, l'alimentammo con nuovi ceppi: quali la penitenza e il castigo. I desideri - sani e vitali, carnali come il sesso, gli appetiti - sono condannabili; anti-istituzionali. Questo ce lo dice la Storia.
E' bene dire, a mio parere, che analogamente il paradiso sia cosa terrena: la serenità, il sollievo, la quiete. E l'uomo disporrebbe, in parte e per quanto possibile, anche di questo.
Se mi guardo intorno, nel mondo vegetale o animale, non trovo tale serenità: ma un perpetuo stato "purgatoriale", che però rimane irredimibile. Un sopravvivere oltretutto e un sopportare.
La natura ha squarci infernali e scorci paradisiaci, ma solo dalla prospettiva umana. In realtà, non è l'uno né l'altro, e non va al di là della vita.

Tornando al film, se si passa al di là del suo valore nichilista, grottesco e provocatorio - e seppure credo che le bizzarrie di Russell (per non molto che ho visto) spesso non abbiano fatto centro - sono d'accordo nel dire che riesce a contenere potenti affreschi del "nostro" inferno fatto di corpi, da noi espanso oltremodo, e dalle cui ceneri s'amplierà uno scenario apocalittico (sempre a livello terreno).

Parlo ad esempio della scena in cui la monaca, immersa in un falso candore, e in uno sterile rigore, genuflessa, spezzata da una vita penitente, stringendo tra le mani il rosario come una serpe, sogna convulsamente il suo amore scendere dalla croce, fare sesso con lui. Oppure di quella finale:
Davanti al volto che si fa tumefatto dalle fiamme, che si sfigura (e che quasi ricorda alcune sculture dei malati mentali di Franz Xaver Messerschmidt), davanti all'estrema sofferenza d'un "peccatore", ecco, quelle maschere ensoriane, trovano l'occasione di beffarsi del dolore, quasi a volerlo esorcizzare.
Ma sono risa isteriche; coinvolte emotivamente e non ancora fisicamente. Poveri "diavoli".
Mi chiedo quelle stesse facce quale espressione assumerebbero di fronte alle stesse grida, alle stesse smorfie, agli stessi eritemi, all'identico simbolo di sofferenza qualora fosse quell'uomo sdraiato sopra un letto d'ospedale, adesso commiserabile.
Probabilmente l'umanità è più attirata verso "l'inferno" - e a tal punto da crearne di artificiali - poiché è consapevole che l'ultima parola sarà la sua: della sofferenza e della morte. E questo non si riesce proprio ad accettarlo.