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APOCALYPSE NOW regia di Francis Ford Coppola

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stratoZ     10 / 10  31/07/2023 15:57:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Opera totale, uno di quei film talmente superbi da andare oltre la normale concezione di cinema, di generi, di narrazione, "Apocalypse now" potrebbe essere considerato uno dei film di guerra più belli di sempre ma la sua straordinarietà è quella di riuscire ad andare oltre i già fondamentali messaggi antimilitaristi del genere - circoscritti comunque al periodo in cui è stato girato - e andare a scavare a fondo nell'animo umano tramite un viaggio febbrile e lisergico nel cuore di una giungla dominata dalle barbarie non più della guerra - intesa come conflitto tra nazioni - ma del caos, della mente e dal più nero animo umano.

Con "Apocalypse Now" siamo nel classico dei casi in cui dare un'interpretazione definitiva è impossibile, un film dai numerosi risvolti simbolici e dominato da una componente audiovisiva psicotropa che da un forte risalto più alle sensazioni personali che ai sottotesti che può fornire la trama.

Già l'attacco incredibile, con le immagini degli elicotteri militari in dissolvenza sui primi piani di Sheen e la canzone dei Doors - non c'è bisogno che dica quale - riesce a suggestionare e stupire, mette lo spettatore nell'umore decadente e crepuscolare giusto per un film del genere. Il capitano Willard è nella sua stanza in balia alla distruzione, dopo essere tornato dal Vietnam non si è più ripreso. Vengono dei funzionari dell'esercito, vi è una nuova missione, andare a porre fine al folle regime instaurato dal colonnello Kurtz e le sue truppe nel cuore del Vietnam, anzi è arrivato fino in Cambogia, va fermato.

E allora parte il viaggio, su una piccola imbarcazione Willard e altri quattro soldati hanno la missione di risalire il fiume e addentrarsi nei meandri della guerra per fermare Kurtz, il film nella sua lunga durata propone diverse tappe, molto significative per arrivare a descrivere la crescente follia che vige nella giungla del Vietnam.

A partire dalla prima spettacolare parte riguardante il colonnello Kilgore - interpretato da un Duvall in formissima e totalmente sopra le righe - in cui si mostra questo plotone di uomini specializzati negli attacchi aerei - che infatti si chiama "Death from above" - allo sbaraglio, il colonnello sembra aver perso il senno, la sua voglia di fare surf predomina sui doveri militari, mette a rischio la vita dei soldati, e inconsapevolmente anche la sua, per delle gare di surf, in questa parte il film mantiene un sottofondo satirico, divertente come effettivamente Kilgore accetti di dare una mano alla missione di Willard solo per la presenza di un noto surfista nella sua squadra e di come decida di attaccare il villaggio alla foce del fiume solo perché vi sono le onde migliori per fare surf. Un contrasto tra la guerra e la voglia di surf del colonnello a primo impatto può anche far fare diverse risate allo spettatore, in realtà qui l'opera mostra come il potere abbia dato alla testa al colonnello, come la morte sia entrata talmente tanto nella quotidianità che tra un bombardamento al villaggio e l'altro si fa una garetta di surf, di come la vita degli abitanti del villaggio, ma anche dei soldati, conti zero in un contesto simile.
Ovviamente in tutto questo c'è la famosissima sequenza dell'attacco aereo con la cavalcata delle Valchirie, momento di altissimo cinema, una sequenza non solo tecnicamente superba ma concettualmente fortissima, con una spettacolarizzazione della violenza atta a sottolineare come la morte e lo sterminio dei villaggi siano diventati un momento di divertimento, alla stregua di un gioco per il colonnello e i suoi uomini.

Risalendo il fiume la squadra di uomini si imbatte in altri accampamenti, più si addentrano nella giungla più trovano dei plotoni sempre più lasciati al loro destino, buona parte di essi senza un ufficiale in comando in cui vige l'anarchia e i soldati sembrano aver perso la motivazione - ammesso che l'abbiano mai avuta - per cui si trovano in quel luogo a fare quelle barbarie, con questo progressivo andamento che passa dalla tappa in cui vedono l'esibizione di Miss maggio - in un momento di rifocillamento per dei soldati al limite della sopportazione in cui emergono molti istinti feroci e pulsanti - fino ad arrivare al ponte al confine con la Cambogia, che mostra una inutile continua ricostruzione e ridemolizione nel corso dei giorni che passano - quasi a sottolineare non solo quanto sia effimera la guerra in questione quanto anche come non vi sia una reale alternativa a far altro che ricostruire un ponte che sai già il giorno dopo verrà abbattuto -
Il film nel corso di questi passaggi cambia anche stilisticamente, passa dalla triste satira della sdrammatizzazione della guerra del colonnello Kilgore fino ad arrivare al caos riflessivo delle successive tappe, riducendo a zero lo humor e concedendo allo spettatore momenti in cui vi è una presa di consapevolezza.

La parte più dialogata del film, quella alla base francese, è adibita a sottolineare tramite i dialoghi tra francesi e americani quella critica al colonialismo della distruzione, in realtà condannandolo tutto, anche quello dalla parte dei francesi che hanno importanto e snaturato il territorio e sottolineando l'inutilità dell'intervento americano in Vietnam, questa parte forse è quella più aderente al macrocosmo Vietnam, o meglio, una delle poche che gli si dedica direttamente a differenza delle altre molto più antropologiche.

E infine si arriva da Kurtz, il tiranno rinchiuso nel suo templio, ormai diventato un mito, una leggenda agli occhi dei suoi seguaci, questa parte finale è un concentrato di dialoghi e incontri tra Kurtz e Willard, in cui viene approfondita la questione e si cerca di intuire i motivi alla base delle azioni di Kurtz. Più volte vi sono riferimenti agli angoli più neri dell'animo umano, Kurtz ormai in guerra da parecchio tempo appare stremato psicologicamente da tutti gli orrori visti, il suo animo nero ha ribaltato la concezione di bene e male, arrivando a stimare uomini capaci delle peggiori violenze perché abbastanza forti da commetterle. In questa parte finale praticamente viene ancora di più a galla come l'uomo libero da convezioni e sovrastrutture sociali riesca a scendere in uno stato selvaggio cattivo e violento, un cuore nero come la pece a cui le leggi della natura per motivi evoluzionistici l'hanno costretto a cambiare sempre in peggio per riuscire a sopravvivere.

Questi sono i significati che mi ha trasmesso Apocalypse Now, personalmente.

Parlando di questo film è impossibile non parlare della fotografia stratosferica di Storaro, basata principalmente su tre colori: verde, arancione e nero. Nelle scene diurne il verde degli alberi, della foresta e del fiume viene contrastato dall'arancione non solo del sole quanto anche del fuoco e del napalm a simboleggiare la distruzione dell'habitat stesso. Arancione e nero predominano le scene crepuscolari, vi è un lavoro eccezionale, non si contano le sequenze in cui Storaro ci regala dei chiaroscuri caravaggeschi incredibili, e il bello è che si sposa tutto con le tematiche del film, questi chiariscuri creano un contrasto fortissimo tra luce e ombra, o meglio tra luce e tenebra, in costante conflitto anche se la tenebra sembra sempre di più prendere il sopravvento. Incredibile come la fotografia riesca ad essere suggestiva e lisergica allo stesso tempo, accompagnando il lungo viaggio nel fiume tra follie e barbarie quasi come un trip febbrile all'inferno, con l'ausilio di una colonna sonora ridotta al minimo ma comunque dalle forti componenti psichedeliche.

Un film che stimola i sensi, un film che stimola il pensiero, un film che ti porta nelle profondità più buie dell'animo umano, un capolavoro assoluto.