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LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO regia di Elio Petri

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Ciumi     8 / 10  17/08/2010 11:15:32Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Torna un pochino in mente l'entrata in fabbrica di 'Metropolis', o il lavoro in catena di Chaplin in 'Tempi moderni', ma là erano intuizioni drammatizzate, comiche o estreme; negli anni di Petri fanno già da tempo parte della realtà quotidiana.

Volonté è davvero straordinario, dà autentica vita al suo personaggio; mentre il regista, che parla un linguaggio diretto seppure velato da un leggero alone visionario, sa presentare un mondo grottesco senza che esso si discosti troppo da quello reale.

Il suo operaio è un uomo che grida, che non fa ragionamenti, che sgobba, un capo di bestiame meccanizzato, senza sorriso, senza interessi, senza voglia; la famiglia è la sua soma, mentre il suo modo di concepire la parola amore è descritto nella sequenza (molto bella) in cui Lulù lo fa con una collega in auto, quasi come lo farebbero due animali ingabbiati.
Ma un essere umano alienato soffre maggiormente.

Sullo sfondo, al di là dei cancelli, c'è il movimento studentesco, quasi sterile, coi suoi megafoni, più invasivo alle orecchie del lavoratore che non a quelle dei dirigenti.
Ma ciò che fa Petri è di spostare la lente dal movimento collettivo al caso singolo: a quale conquista individuale le lotte porteranno? Tutto sommato, soltanto a ridare a Lulù quel lavoro che gli avevano fatto perdere.
Certo non potranno ridargli indietro il dito, né la sua sanità mentale. Se da ossessivo lavoratore rischiava la pazzia in fabbrica, più ancora la sfiora fuori, durante il periodo in cui diventa un contestatore.

Non c'è salvezza in questa vita per la classe operaia, già dal titolo lo si annuncia: all'operaio non resta che immaginare, un cùlo, il paradiso; che poi per Lulù è un sogno raccontato tra il frastuono dei macchinari, che in terra si trova dietro il muro di un manicomio.