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IL RITO regia di Ingmar Bergman

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Beefheart     7½ / 10  13/09/2007 16:51:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Film girato per la televisione, quindi essenziale ed economico, volto alla celebrazione dell'arte, anche e soprattutto, a costo dello sconvolgimento della morale. Girato interamente in interni, per altro spesso "vanificati" dall'abbondanza di strettissimi primi piani sui volti dei protagonisti, con quattro attori di numero (più, come pare, una silenziosa comparsa dello stesso regista nei panni di un prete all'interno del confessionale), è facilmente immaginabile come il tutto si concentri su dialoghi molto fitti ed intensi. Attraverso queste battute Bergman ci illustra come l'arte, osteggiata ed oltraggiata dalla censura, sia in realtà destinata ad elevarsi a ruoli ben più significativi che non quello di vittima predestinata e sacrificale dell'umana ipocrisia. L'arte, specificamente teatrale, è quasi una misteriosa ed ambigua magia in grado di stregare anche la più arida delle menti. Un'arte, quella elogiata dal regista, in grado di auto-difendersi, sconosciuta al raziocinio etico, satolla di passione, purissima nel suo apparente delirio. Bergman mette anche in guardia dal giudizio bigotto, dalla mortificazione e dalla frustrazione del pensiero, che anzichè elevare ed aiutare, affossano l'individuo. I temi, ricorrenti ed insistenti, sono: i difficili rapporti sentimentali nella coppia, il rimorso, il senso di colpa, l'indispensabile ingombranza fisica e psicologica della figura femminile, l'ossessione artistica.
Purtroppo, in alcuni passaggi, narrativi e caratterizzativi dei personaggi, il risultato è un po fumoso; soprattutto relativamente alla figura di Sebastian Fisher: personaggio ambiguo e vagamente godardiano (troppo, per i miei gusti) e di Thea Winkelman, altrettanto curioso e, forse, un po eccessivo. Questo ovviamente non compromette la magistrale prova recitativa dell'intero, per quanto numericamente modesto, cast. Personalmente ho trovato il grandissimo Gunnar Bjornstrand perfettamente a proprio agio e convincente; tutti gli altri a ruota.
Il film, nel complesso, non è male; senz'altro non facile, nè immediato. Concettualmente importante, artisticamente valido e stilisticamente affascinante. In tal senso una grande mano la dà la solita raffinata penombra, sapientemente fotografata dal sempre presente direttore della fotografia Sven Nykvist.