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I CATTIVI DORMONO IN PACE regia di Akira Kurosawa

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kafka62     7 / 10  18/04/2018 09:06:20Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"I cattivi dormono in pace" ha non pochi punti in comune con l'Amleto shakespeariano. Anzitutto, il personaggio di Nishi, con il suo lucido e incrollabile desiderio di vendicare il padre, sembra ricalcato su quello del principe di Elsinore; e, come fa notare acutamente Richie, paralleli nient'affatto azzardati possono instaurarsi tra Iwabuchi e Claudio, tra Yoshiko e Ofelia, tra Itakura e Orazio, e così via. In secondo luogo, la ingegnosa messinscena del delitto (la torta nuziale raffigurante il palazzo governativo da cui era stato costretto a gettarsi Furuya), ideata per mettere con le spalle al muro i veri colpevoli, ricorda la rappresentazione teatrale che Amleto allestisce per smascherare l'usurpatore Claudio. Tutto ciò non deve stupire, se si pensa che Kurosawa è sempre stato attratto dal mondo poetico del Bardo, al punto da voler fare de "Il trono di sangue" un Macbeth in versione nipponica e da ispirarsi largamente al Re Lear per il suo "Ran". Persino la costruzione narrativa del film è in qualche modo influenzata da un'organizzazione di stampo teatrale: basti pensare a quel vero e proprio coro (i giornalisti) che introduce, come in un dramma antico, la storia principale (e tra due cronisti c'è addirittura il seguente scambio di battute: «Che strano matrimonio!». «Strano? E' la migliore commedia in un atto che abbia mai visto». «Commedia in un atto? Non è altro che il prologo»); o al frequente ricorso a situazioni e figure retoriche della tragedia classica; o ancora ai lunghi monologhi – come quello finale di Itakura – di chiara impronta teatrale.
Il secondo filone, apparentemente inconciliabile col precedente, da cui il film è ispirato è quello del cinema di genere, in particolar modo il thriller hitchcockiano. Numerosi sono infatti gli episodi di suspense, le sequenze ad effetto ritardato e i colpi di scena: tra i tanti, la falsa morte di Wasa, la trappola tesa ai danni di Shirai, la scoperta che Nishi è il figlio naturale di Furuya, il rapimento di Moriyama. Il modo in cui Nishi si infiltra nella famiglia di Iwabuchi, recitando alla perfezione il ruolo del genero irreprensibile, e il lancinante dissidio tra dovere e amore da cui è dilaniato, fanno inoltre sì che "I cattivi dormono in pace" risulti alla fine saldamente imparentato nientemeno che con il più famoso modello del genere, "Notorious".
Come già in "Cane randagio", Kurosawa, mentre da una parte non esita ad attingere a piene mani all'immaginario consolidato del cinema del passato, dall'altra si diverte a scompaginare le aspettative legittimamente ingenerate nello spettatore, disorientandolo con continui (e originali) cambiamenti di direzione. Il film inizia infatti con una lunga ed elaborata messa a fuoco della storia dall'esterno (un pranzo di matrimonio commentato con cinico sarcasmo da un gruppo di giornalisti i quali – come si è detto – hanno la stessa funzione del coro di una tragedia greca), prosegue come un anonimo film-inchiesta (l'allargarsi dello scandalo, i titoli sui giornali, i suicidi dei funzionari coinvolti), si trasforma quindi in un vero e proprio giallo (con il personaggio di Nishi, finora in disparte, che assurge a protagonista principale) e sfocia infine in una dimensione di apologo morale (che fa emergere, tra l'altro, il dilemma fondamentale di Nishi: per poter odiare il male è necessario lasciarsene impregnare, "diventare noi stessi delle carogne"). All'interno di questa struttura camaleontica, Kurosawa è poi capace di prendersi libertà narrative del tutto inattese, quali la scelta di far accadere il momento topico del film – la morte di Nishi – fuori scena. "I cattivi dormono in pace" appare perciò un'opera riuscita non tanto per l'abilità tecnica dispiegata (la quale viene anzi addirittura sacrificata a un assoluto e quasi impersonale mimetismo registico) o per la sua forza di incidere sulla società del tempo (Kurosawa appare in ciò superato da giovani registi come Oshima o Imamura), quanto per questa grande capacità di narrazione, discontinua e sregolata quanto si vuole, ma ricchissima di spunti tematici, riferimenti culturali e mutamenti di prospettiva.