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CANE RANDAGIO regia di Akira Kurosawa

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amterme63     8½ / 10  13/02/2010 23:01:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Altra piccola grande perla del primo Kurosawa.
Il messaggio del film anche in questo caso è il rapporto dialettico fra passione e controllo, fra impulso e raziocinio. Il punto di vista è come al solito quello umanissimo delle vicende difficili e sentite di comuni esseri umani. Lo sguardo anche stavolta è anticonvenzionale e va a frugare dove in genere nessuno andrebbe, cioè nei bassifondi, nella vita della gente povera e “normale” (trattata sempre con grande dignità ed empatia). La novità è che si cerca di riflettere, o meglio di far riflettere, sulla natura del crimine, se sia una scelta libera o obbligata e se in certi casi sia l’unica scelta possibile. Comunque pure al criminale, Kurosawa dà molta umanità e molta dignità. Quello che preme rappresentare non è la vicenda o l’azione violenta o eclatante ma quelle che coinvolge il destino delle persone (le catture, le lotte drammatiche).
Dal punto di vista formale, questo è il primo film in cui Kurosawa mostra la tendenza all’eclettismo, a utilizzare modi rappresentativi diversi e vari in uno stesso film. Molto proviene dal ricco giacimento del cinema muto.
“Cane Randagio” ricorda vagamente “Ladri di Biciclette”. L’oggetto del film è infatti il furto di una pistola. Pure i protagonisti si assomigliano, entrambi sono un po’ ingenui e “subiscono” gli avvenimenti. In questo caso però l’emergenza più che economica è etica.
Murakami, il protagonista (interpretato da un intenso Toshiro Mifune), rappresenta un po’ l’etica tradizionale giapponese, quella del samurai. Prende tutto di punta, in maniera coinvolgente e totale, è molto impulsivo e irruento, molto suscettibile e sensibile, tutto preso nella sua “missione” di poliziotto. Deve riparare in tutti i modi al furto, ne va del suo onore etico. Per questo si mette a cercare disperatamente la sua pistola. La sequenza della ricerca è una delle più belle del film. E’ una successione di immagini di angoli malfamati di Tokyo, di prostitute, di malfattori, ma anche immagini di mercati, negozi, gente di tutti i generi; poi giorno e notte che si succedono e su tutto in sovrimpressione gli occhi stralunati di Murakami o intensi primi piani della sua faccia tesa e disfatta.
Veramente, non esiste regista più bravo di Kurosawa nel suggerire il trascorrere del tempo e la fatica e la durezza di questo trascorrere.
Il tenore del film cambia quando entra in scena l’ispettore Sato (altra maiuscola interpretazione del grande Takashi Shimura). A differenza di Murakami, è distaccato dalle cose, interpreta, capisce, in pratica domina tutto dall’alto della sua esperienza. E’ la guida che ci voleva per Murakami. Adesso sa che deve imparare a controllarsi e a misurarsi. Intanto Kurosawa continua a mostrarci le immagini di un Giappone diviso fra divertimenti americaneggianti e la dura lotta quotidiana (la tessera per mangiare).
Ultima variazione del film è l’entrata in scena del criminale, cioè Yusa. Per questo personaggio Kurosawa utilizza la tecnica a testimonianza. Impariamo a conoscerlo attraverso gli altri e quindi siamo obbligati a utilizzare la nostra immaginazione, a elaborarlo nella nostra testa. E’ l’occasione per riflettere sull’origine e sul valore del crimine. Il criminale ha diritto alla comprensione e al rispetto umano, ma rimane comunque un danno per la collettività e va assolutamente neutralizzato. Il crimine è la via più facile e più corta per la sopravvivenza, ma non è l’unica e quindi la scelta non dipende solo dall’ambiente ma anche dalla volontà.
Ed ecco che nel finale Yusa si materializza. E’ come se l’era immaginato Murakami: un povero diavolo disperato e impulsivo, un cane randagio diventato rabbioso. L’inseguimento e la cattura sono un’altra perla visiva del film: fatica, paura, tensione e in più la suggestione dell’ambiente (il rotolarsi nel fango di una palude, nell’erba alta, in mezzo a dei fiori). Il dramma tocca l’apice nei due che giacciono accanto stanchissimi, distrutti, disfatti e con all’improvviso un urlo lancinante di dolore e disperazione estrema da parte di Yusa. Il dolore e la disperazione del “criminale” non potevano essere espressi meglio.
Sono rimasto molto colpito dalla scena. Che artista Kurosawa! I suoi film sono veramente belli.
Ah dimenticavo. Il vero protagonista del film è il caldo. E’ così opprimente e onnipresente in tutte le scene che si finisce davvero per sentirsi pure noi spettatori soffocati e vogliosi di qualche bibita fresca …