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IL DIRITTO DI OPPORSI regia di Destin Daniel Cretton

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marcogiannelli     7 / 10  09/02/2020 12:33:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Walter McMillian nel 1987 viene condannato a morte per aver ucciso una ragazza di 18 anni, nonostante le prove chiaramente inesistenti e una serie di elementi che confermavano il contrario. A difendere Walter è Bryan Stevenson, all'epoca un giovane avvocato. Il titolo originale è Just Mercy, il nome che Stevenson darà al suo libro in cui racconta questa storia assurda.
Il punto focale del film è entrare in empatia con i personaggi e partecipare con loro alle vicende sullo schermo. In questo il film a volte riesce nel suo intento, a volte no.
Stevenson in questo dovrebbe accompagnarci visto che è lui il primo a pensare non a fare i soldi ma a provare a salvare vite di persone che gli assomigliano.
Parliamo di un Sud degli Stati Uniti che ormai si affaccia agli anni '90, non siamo più ai tempi di Malcom X e Marthin Luther King. Eppure i soprusi che i neri devono subire sono davvero micidiali. Nessuna tutela giudiziaria, persone che spesso sono innocenti e capri espiatori condotti nel braccio della morte senza alcun processo antecedente. Anche lo stesso avvocato sarà costretto spesso a mettersi a nudo (in una scena letteralmente) per poter condurre una seria indagine.
E' una lenta indagine in cui l'azione è nulla, dunque ciò che ci guida sono sostanzialmente i dialoghi e l'interpretazione dei personaggi. E qui il lavoro è ottimo: Brie Larson è molto brava (seppur non eccelsa come altre volte), i due vicini di cella di McMillian sono due character che ci fanno sentire veramente vicini a loro, ma tutti i personaggi secondari sono bravissimi, da Rafe Spall (un Tommy Chapman più che umano) a Tim Blake Nelson (un Myers nevrotico, spaventato ma con un orgoglio), Michael Harding (uno spietato sceriffo) ecc. Tutti hanno fatto uno sforzo per essere simili alle proprie controparti reali. Focalizzandoci sui due protagonisti abbiamo, per quanto mi riguarda, il diavolo e l'acqua santa.
Jamie Foxx è strepitoso nel regalarci un uomo forte ma spaventato, fedifrago ma legato alla famiglia e alla comunità. Uno di noi in sostanza, e la sua recitazione fatta più di sguardi colpisce. Però mi ha disturbato profondamente l'interpretazione di Michael B. Jordan come protagonista. Ed avendo, appunto, il ruolo principale ed essendo sempre in scena non può non condizionare la mia opinione sul film. Quell'espressione unica sul suo volto, sempre severa, come se stesse ancora recitando in Creed, una staticità nell'interpretazione imbarazzante. Mi ha spesso tirato fuori dal film, ricordandomi che stavo guardando qualcosa in una sala. E questo per quanto mi riguarda non deve succedere. Capisco sia difficile per un attore che spesso recita con il fisico, però ecco, non l'ho scelto io. Il regista non gli viene incontro di certo con la pessima scena della perquisizione, in cui vediamo un avvocato con un fisico da atleta. Son piccolezze ma che mi estraniano spesso dai film. Unico momento ben scritto per lui è l'arringa finale.
Spesso lui partecipa ad alcuni dei dialoghi che non mi sono piaciuti perché troppo scontati o in cui gli si mettono in bocca delle frasi fatte per farlo sembrare saggio.
Sono invece i rapporti tra i detenuti dove si sfocia nei dialoghi più interessanti.
Certo, la divisione tra condannati a morte simpaticissimi e agenti tutti pezzi di me**a è semplicistica, le cose hanno sempre sfumature più ampie, ma appartiene ad un film che vuole discutere sulla pena di morte, sull'ingiustizia di molti processi e di cosa comporta nelle comunità delle minoranze.
La scena della prima esecuzione (senza fare spoiler) è tenerissima e umanissima.
Non vi aspettate virtuosismi tecnici, è un legal thriller che vuole essere freddissimo.
Un film più necessario che bello, forse.