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BARBAROSSA (1965) regia di Akira Kurosawa

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amterme63     7 / 10  29/05/2010 16:43:29Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Qui l’ecclettico Kurosawa ha voluto sperimentare l’unione di uno stile aulico, rarefatto e teatrale (come quello del “Trono di sangue”) con la rappresentazione di un realtà estremamente povera e degradata (tipo quella di “Bassifondi”). L’intento è più che nobile: dare onore, risalto e dignità a una categoria di persone (i Miserabili alla Victor Hugo) in genere negletta o disprezzata. Il risultato non è però perfettamente riuscito. Purtroppo Kurosawa è caduto suo malgrado nella trappola del didattico e dell’edificante, che in genere era riuscito brillantemente ad evitare nei film precedenti.
C’è da dire che l’epoca in cui si svolge la storia del film (l’Ottocento), il soggetto e il punto di vista (critico e militante) spingono quasi a un tale trattamento (si pensi a Hugo stesso, a Dickens). Solo che questo metodo ha efficacia se si ha di fronte un forte riscontro realista.
Nell’Ottocento non si faceva alcuno sforzo, bastava aprire la porta di casa ed ecco che tutta la miseria, la malattia, il vizio e il degrado si presentavano davanti in maniera persino più orribile di quella descritta nella finzione. Nel Novecento del benessere si fa più fatica ad avere un coinvolgimento diretto e l’effetto è quello di una predica o di una lezione morale. Solo se il film avesse avuto un risvolto molto vivo e realistico, da vita in corso d’opera, allora certamente l’effetto sarebbe stato più diretto e meno mediato.
Come detto, tutto è trattato in maniera lenta e quasi enfatica. Ce ne accorgiamo fin dalle prime scene quando Yasumoto entra nell’ospedale diretto dal dittatoriale e laconico dottor Barbarossa. C’è gente molto malata e derelitta eppure regna un silenzio di tomba, non una chiacchiera, non un brusio, non un lamento. Già questo rende l’idea di astrazione più che di realismo.
Toshiro Mifune interpreta Barbarossa come se fosse Sanjuro che abbia abbandonato la katana e abbia indossato il camice da dottore. Che sia lui lo si vede nella scena del bordello, dove da solo stende a terra una decina di bruti, per poi preoccuparsi di curare le ferite e steccare gli arti fratturati (!). L’atteggiamento laconico, riservato non aiuta a definire bene il personaggio. Kurosawa ha scritto che avrebbe preferito un’interpretazione alla Sanada (il medico de “L’angelo ubriaco”) cioè imperfetto e perciò più umano; di conseguenza se l’è presa proprio con Mifune per la non riuscita del film. In realtà è in tutti i personaggi del film che manca qualcosa di imperfetto che li renda più plausibili e credibili. Il sublime e la rarefazione non si adattano evidentemente ai figli della miseria.
Fatto sta che le scene che mi sono piaciute di più sono quelle in cui le lavoranti anziane dell’Ospedale scherzano o prendono in giro un personaggio; sono scenette divertenti e deliziose, le uniche veramente “umane” del film. Comunque c’è da dire che la vicenda insegna tante cose, in fondo non è un film noioso e come al solito è girato in maniera magnifica. Se vi capita fra le mani un’occhiata gliela si può dare tranquillamente (anche se dura quasi 3 ore).
Comunque, ora ho capito perché nessuno voleva più produrre film a Kurosawa.
Edgar Allan Poe  27/04/2011 17:58:47Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ma Mifune ha vinto anche un premio nella mostra di Venezia per quest'interpretazione, secondo me la sua interpretazione va bene, evidentemente si voleva mostrare un personaggio abbastanza "scorbutico", e (appunto) riservato... anche se poi Kurosawa se n'è lamentato...
amterme63  27/04/2011 19:18:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mifune è Mifune. Qualsiasi cosa faccia la fa bene. Solo che in questo film si era messo in testa di interpretare il personaggio in una certa maniera che a Kurosowa non andava giù. Infatti mi sembra che questo sia l'ultimo film in cui i due hanno lavorato insieme.
Edgar Allan Poe  28/04/2011 17:00:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Esatto... bel commento, comunque!