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L'ENFANT - UNA STORIA D'AMORE regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne

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gerardo     8½ / 10  08/01/2006 16:03:35Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
I fratelli Dardenne riprendono ancora una volta il tema del difficile rapporto "padre-figlio" e lo estremizzano accentuando le crudeltà del personaggio paterno, che accentra su di sè ogni colpa, ogni criminale disattenzione e vilipendio sentimentale, rispetto all'innocenza totale del figlio, creatura appena nata e assolutamente indifesa.
Con il consueto stile documentaristico i Dardenne seguono i personaggi, e in modo particolare Bruno, il protagonista, in tutte le loro azioni, descrivendo minuziosamente la gestualità quotidiana e gli espedienti di vita, di queste vite precarie ai margini della città/civiltà industriale fredda e asettica.
Bruno, il protagonista "neorealista" splendidamente interpretato da Jérémie Renier (era il "figlio" nello straordinario film d'esordio dei Dardenne, "La promesse"), è un delinquentello "ragazzo di vita" che si trova suo malgrado, e senza coscienza, a rivestire il ruolo di padre. Un ruolo così casuale e lontano dalla sua consapevolezza da non comprenderne a pieno la valenza. La vita di Bruno è fatta di piccoli furti ed espedienti di sopravvivenza. La sua dimora non è mai fissa e spesso è una baracca sul fiume ad accoglierlo, tra i cartoni e i rifiuti.
La gestualità di Bruno è pressoché istintiva, primitiva: vivendo alla giornata ogni azione è legata al bisogno del momento. Non ha regole, non ha una “programmazione” delle giornate: Bruno è un personaggio anarcoide che vive per cogliere ogni occasione per far soldi, ma la sua spasmodica ricerca di denaro non è finalizzata al compimento di un progetto, bensì alla pura e semplice, selvaggia, sopravvivenza.
La nascita del figlio lo coglie, se non impreparato, praticamente indifferente. La sua ragazza, Sonia, invece inizia ad assumersi le responsabilità di madre e a concepire – con grande gioia - un’idea di famiglia, nucleo minimo di rapporti regolati. Il suo è un vero e proprio progetto di vita, da istituzionalizzare – come primo atto ufficiale – con il riconoscimento del bambino; e poi, con la piena acquisizione della casa, luogo fisico e simbolico di stabilità. Ma proprio nel momento della regolarizzazione (minima) del progetto di vita, Bruno rivela tutta la sua attitudine inconsciamente anarchica alla precarietà esistenziale. Nei progetti di Sonia, che vede per sé e il suo compagno la concretezza e la nascita di una famiglia “normale”, c’è anche la possibilità di un lavoro per Bruno, il quale sdegnosamente rifiuta in quanto lavorare è “da sfi.gati”. Fiutando l’invitante e provvidenziale opportunità di un cospicuo guadagno, Bruno decide di vendere suo figlio, sottraendolo alle cure della madre, ignara delle intenzioni del compagno. Anche questo atto non è programmato: è l’occasione a presentarsi a portata di mano e Bruno non vi sa rinunciare, colto da una istintiva, irrefrenabile, pulsione al guadagno, cioè alla sopravvivenza. Per quella che è la sua visione etica della vita, Bruno non riesce a cogliere appieno la criminalità di quell’atto, con tutte le sue conseguenze, perché egli è spinto, come si è detto, da semplici pulsioni. Eppure c’è qualcosa che lo rende vagamente insicuro. Bruno, ignorando l’illegalità e la criminalità della vendita di suo figlio, sa che quel gesto avrà delle conseguenze per la sua compagna, ma l’incoscienza di sempre gli dà fiducia nel suo istinto. In effetti, l’unica persona a cui sa di dover “rispondere” dei suoi atti è proprio Sonia. Quando la ragazza, preoccupata, lo chiama sul cellulare, Bruno chiude la telefonata.
Ma anche di fronte alla realtà dei fatti che precipitano e lo inchiodano alle responsabilità e alla colpa, Bruno continua a vivere nel suo mondo senza regole e senza etica, ancora una volta inconsciamente: tutto quel che sa dire a Sonia, per consolarla e mitigare le proprie colpe, è che potranno sempre fare un altro figlio. Una soluzione abbastanza infantile, se vogliamo. Il processo di maturazione che ha investito Sonia, con la maternità, è ancora lontano dall’affacciarsi nella vita di Bruno. Il recupero del bambino, lungi dall’essere un atto di presa di coscienza e un rimedio “morale” al crimine commesso, è per Bruno semplicemente un estremo tentativo di sfuggire alla giustizia, ennesimo espediente di sopravvivenza, dal momento che su di lui pende una denuncia della compagna.
Ma Bruno è andato oltre le proprie possibilità ed è finito in un giro più grande e pericoloso di lui. Quando si trova costretto a rubare “per mestiere”, per “commissione”, e non più per sé, per la semplice sussistenza, Bruno finisce per perdere il controllo della situazione e la sua naturalezza e incoscienza delinquenziale: il suo crimine, il suo agire, diventano programmatici e finalizzati al risarcimento dei “pesci” più grossi. Sarà proprio questo “meccanismo” a innescare, col precipitare degli eventi, la presa di coscienza progressiva, l’espiazione, di Bruno, “ragazzo di vita” del nord Europa.
Il naturalismo proprio dello stile Dardenne, con la freddezza delle immagini e della fotografia (bellissima), l’assenza di musica nella colonna sonora, non concede nulla a melodrammi e facili sentimentalismi, o anche a possibili immedesimazioni coi personaggi.
Gruppo STAFF, Moderatore Invia una mail all'autore del commento Lot  08/01/2006 16:13:55Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ottimo commento per uno splendido film, complimenti.
gerardo  08/01/2006 16:27:55Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Grazie Lot.
Il film è assolutamente glaciale. Ho visto uscire dal cinema gente sconvolta, che pur sapendo essere molto attenta a certe tematiche e cinematografie, ha avuto un rigetto anche sdegnato del film.
Gruppo STAFF, Moderatore Invia una mail all'autore del commento Lot  08/01/2006 16:58:28Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
stessa cosa per me... cioè non è uscito nessuno perché saremmo stati 5-6 a vederlo comunque si capiva dalle facce che l'abitudine a film familiari edulcorati e accomodanti ti fa sbattere abbastanza violentemente contro questo genere, decisamente più realistico.
Anche il tipo di regia e la totale assenza di giudizio o di empatia non sono solite e contribuiscono a farne un gran film.
Delfina  23/01/2006 21:49:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Eh eh, sarà perché ormai Pasolini è stato dimenticato e rimosso
in questo paese, ormai irrimediabilmente piccolo borghese ed assai "benpensante", cioè integralista.

Ovvio che personaggi così risultino incomprensibili e scandalosi, se il pubblico è abituato al sentimentalismo da 4 soldi della tv mediasetizzata e/o bipartisan.

(Forse, un film che aveva osato toccare temi un po' simili, da noi, è Ftato "Provincia meccanica", con Accorsi e il bravissimo I. Franek...)
andreapau  24/01/2006 15:11:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
eh no cara,questo è assolutamente falso e sleale!soltanto tu tra i commenti,hai fatto una lettura antiborghese del film.nessuno ha dato dei giudizi di merito o gradimento dell'atteggiamento dei protagonisti.nessuno tranne te.il milo voto negativo,è tutto cinematografico.il tuo voto alto,è soltanto ideologico.te lo ripeto,il problema è tutto tuo.ma non cercare in un film,la rivalsa verso un mondo o una società che non ti piacciono.
Delfina  25/01/2006 14:58:39Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sei tu quello che ha utilizzato in primo luogo il contenuto per demolire il film... e si capisce benissimo che non ti andava la storia, soprattutto.

La visione ideologica sarà tua, non mia. Io io scritto perchè mi è piaciuto e basta.
Delfina  25/01/2006 15:00:06Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ecco le tue precise parole:
"una caminata sul bordo degli inferi con una caduta nel girone dei degenerati, dal quale non si riesce ad emergere."

E questo non sarebbe moralismo? Ma fammi il piacere, dai...
andreapau  27/01/2006 20:04:06Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
no mia cara,continui a sbagliare.ho rispetto per chiunque faccia scelte diverse dalle mie nella sua vita,ma chiamo le cose con il loro nome o con quello che piu' si avvicina al mio modo di vedere le cose:se uno vende un figlio è un degenerato,senza che cio' ti appaia un giudizio borghese.come film di denuncia lo capisco e lo apprezzo.freddo e asettico,così come lo vedi...ma la poesia sinceramente è ben lontana da questo film,e credo volutamente.tu lo hai guardato a modo tuo,interpretandolo in maniera del tutto arbitraria,parlandomi di giovani che si divertono con niente..torno a ripeterti,ma che c.azzo dici?non sono forse dei giovani come tanti,che vogliono solo e soltanto beni materiali?non sono privi di qualunque struttura mentale a sorreggerli?ma fammelo tu il piacere!