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BROKEN FLOWERS regia di Jim Jarmusch

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kafka62     7 / 10  26/04/2018 11:32:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Se "Broken flowers" fosse un film comico, il riferimento obbligato per descrivere la recitazione del protagonista, Bill Murray, sarebbe senza dubbio Buster Keaton. In comune con il grande comico del cinema muto Murray ha infatti una mimica facciale ridotta al minimo e un'espressione apatica, stranita, quasi catatonica, che poco o nulla viene modificata dalle cose che avvengono intorno a lui. Va anche aggiunto che tale recitazione (già vista in precedenza in un film come "Lost in translation") è perfettamente funzionale allo stile di Jarmusch, fatto in prevalenza di tempi morti e di silenzi. Nel viaggio di Don Johnston (non Johnson, come tiene più volte a precisare ai suoi distratti interlocutori), un maturo single ed ex dongiovanni alla ricerca di indizi su un ipotetico figlio, la cui esistenza gli è stata fatta balenare da una lettera anonima, non succede praticamente nulla. Eppure i quattro brevi e in apparenza poco significativi incontri con le sue vecchie amanti, gli ammiccanti leit motiv costituiti da oggetti rosa (lo stesso colore della busta contenente la missiva) e i casuali incontri on the road (ad esempio, la fioraia che medica la sua ferita al sopracciglio) riescono costantemente a tenere desta l'attenzione dello spettatore, nonostante si possa facilmente arguire che la detection difficilmente porterà a qualche esito. Succede in fondo in "Broken flowers" quello a cui avevamo assistito in "Niente da nascondere": e cioè, un immotivato pretesto narrativo (là le videoriprese, qua la lettera anonima) è lo spunto per scandagliare l'esistenza apparentemente tranquilla e senza ombre del protagonista. E difatti Don non torna dal viaggio uguale a prima. Comprendendo che il passato è definitivamente passato, egli troverà forse (il dubitativo è d'obbligo, trattandosi di un film dal finale aperto) l'energia necessaria a scuotere il passivo torpore in cui si è ridotto il suo presente (simboleggiato dal mazzo di rose bianche che Don ha lasciato sulla mensola del salotto). Riuscendo a fugare qualche sospetto di noia e ripetitività, Jarmusch conduce egregiamente in porto la pellicola, e, con piccoli tocchi di stralunata comicità (il muto colloquio che, davanti agli occhi impassibili di Murray, si svolge tra Jessica Lange e il micio è davvero impagabile), con una colonna sonora azzeccatissima (soprattutto il tormentone etno-jazz dell'Ethiopian Quintet che accompagna gli spostamenti di Don in automobile) e soprattutto con una sapiente e originale descrizione di uno spaesamento allo stesso tempo geografico e affettivo, realizza un altro piccolo e inconfondibile gioiello di cinema indipendente.