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THE IRISHMAN regia di Martin Scorsese

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Boromir     9 / 10  29/11/2022 22:50:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Evitando di soffermarci sulla controversia riguardante la politica distributiva di Netflix, la piattaforma streaming che ha reso possibile la realizzazione della pellicola, The Irishman segna il coronamento definitivo della carriera registica di Martin Scorsese, un capolavoro che assurge al ruolo di testamento per il genere gangster, spesso abbracciato da Scorsese in oltre cinquanta anni, dall'acerbo ma già pregno di talento Mean Streets e passando per opere d'arte più mature e indimenticabili come Quei bravi ragazzi e Casinò. The Irishman racconta un intero spaccato di storia americana, racchiuso in tre ore e mezzo di quasi inappuntabile fluidità (con l'eccezione di qualche piccola prolissità nel secondo atto). Come un altro capolavoro del genere, il C'era una volta in America di Sergio Leone, la pellicola di Scorsese (scritta dallo Steven Zaillian di Schindler's List) punta i riflettori sul trascorrere del tempo, sui valori delle relazioni umane e sulla paura della morte con quel tocco di lirismo che riesce a trascendere la violenza di un racconto privo d'inutili retoricismi. La storia s'ispira al romanzo di Charles Brandt "L'irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa" del 2013, letto da Robert De Niro e sottoposto a Scorsese stesso per la direzione.
The Irishman si può tranquillamente suddividere in tre atti. Il primo, molto legato alla struttura di Quei bravi ragazzi e Casinò, introduce lo spettatore al mondo criminale dell'America post-bellica con stile elegante e senza farsi problemi a narrare la violenza in tutta la sua secchezza; tra il secondo e il terzo atto invece si assiste agli esiti delle azioni criminose, con particolare attenzione per il peso emotivo che hanno in ciascuno dei protagonisti e sui loro equilibri familiari. La pellicola, già grande nel suo brillante alternare di dramma violento e leggerezza della commedia nera, regge per acume della sceneggiatura e, ovviamente, per impeccabile fattura della recitazione. Scorsese affida i ruoli principali ai suoi attori di fiducia (con l'unica novità di Al Pacino, per la prima volta coinvolto in un film del regista), tutti ovviamente giganteschi, e per l'occasione decide di sperimentare la tecnica del de-aging, che consente di "ringiovanire" digitalmente gli attori, permettendo loro di recitare in flashback senza l'ausilio di corrispettivi più giovani. L'efficacia scenica del de-aging, a conti fatti, non sempre è soddisfacente ma riesce a non essere eccessivamente fastidiosa, e viene comunque compensata dalla bellezza degli altri elementi filmici.
I rapporti tra i personaggi sono gestiti con una cura per i dettagli maniacale, le recitazioni misurate ma titaniche dei protagonisti commuovono per il modo in cui riflettono l'anima dello stesso Scorsese, giunto alla resa conti con l'esistenza, con la sua arte, con un mondo che di anno in anno è cambiato sempre più. E il finale, che più di qualcuno ha accostato a quello del primo capitolo de Il Padrino (io smuoverei più un parallelo con il terzo), dichiara un sentito amore per il cinema e per la vita. Con buona pace dei detrattori di Netflix, Sergio Leone sarebbe fiero.