(dato che gli indizi disseminati lungo il film a carico della protagonista erano troppi e troppo univoci per non destare il sospetto di un intenzionale depistamento narrativo)
saranno forse rimasti delusi, ma chi conosce bene Chabrol sa che il regista francese preferisce alla suspense hitchcockiana la descrizione degli ambienti e la psicologia dei personaggi. E in questo, "Grazie per la cioccolata" è un film semplicemente perfetto, grazie anche all'efficace essenzialità del montaggio, alla raffinatezza della messa in scena e alla ottima recitazione degli interpreti. Claude Chabrol ha uno stile inconfondibile, che si potrebbe riconoscere tra mille, alieno dai virtuosismi tecnici del cinema contemporaneo eppure così attento alla composizione geometrica e pittorica delle singole inquadrature da farne quasi delle opere d'arte autonome. E poi, naturalmente, c'è Isabelle Huppert, che, alla sua ottava collaborazione con Chabrol, è diventata quasi un alter ego del regista. La sua Mika
, assassina – si potrebbe dire – per troppo amore (o, specularmente, per mancanza d'amore: "se amo o invece dico solamente di amare, la gente ci crede lo stesso", dice nella sua confessione conclusiva),
è personaggio di affascinante e algida ambiguità, che, dietro alla sua maschera apparentemente impenetrabile, lascia intuire abissi di dolore e di disperazione. Solo alla fine del film, quando già scorrono i titoli di coda, la Huppert ci concede un lungo, meraviglioso, piano sequenza in cui le lacrime finalmente scorrono sul suo volto, prima di regredire in una emblematica posizione fetale, vicino ad un altrettanto simbolico copridivano a forma di ragnatela, che rimanda alla inestricabile complessità della trama.