Dom Cobb 8½ / 10 31/10/2018 23:55:49 » Rispondi Il giovane principe Mosè cresce nella corte del faraone, la sua lealtà e lungimiranza lo rendono favorito al padre ancora più del primogenito Ramses; ma ben presto Mosè scopre la verità, di essere un ebreo scampato al genocidio ordinato da Seti anni prima. Privato di ogni titolo e onore, viene esiliato nel deserto, dove riuscirà a ricostruirsi una vita in una comunità di pastori prima di ricevere la chiamata dal roveto ardente, con cui Dio gli ordina di tornare in Egitto a liberare tutti gli schiavi... E' raro trovare nella tradizione religiosa di tutti i tempi una storia più conosciuta e celebrata della vicenda di Mosè e della liberazione del popolo ebraico, che di fatto costituisce parte del fondamento della religione ebraica stessa. Non è un caso che una simile storia, pregna di significati universali e a buona ragione rimasta d'impatto per tutti questi secoli, abbia attratto l'attenzione di uno dei registi più acclamati del suo tempo, ossia Cecil B. DeMille: per questa particolare produzione, che incidentalmente finirà per essere la sua ultima, il grande regista che si era imposto sulla scena grazie ai suoi capolavori epici ai tempi del muto chiude il cerchio ritornando al genere che gli ha dato tanta fortuna e lo fa nel modo che conferma le sue migliori qualità. C'è un buon motivo per cui "I dieci comandamenti" viene considerato una delle summe del cinema hollywoodiano dell'epoca d'oro degli anni '50 (insieme al "Ben-Hur" di William Wyler), e basta far scorrere i primi minuti di visione per rendersene conto: scenografie e costumi sono ai massimi livelli di dettaglio e accuratezza, sontuosi e maestosi come non mai, supportati da una fotografia da urlo e un sapiente utilizzo di effetti speciali a dir poco sbalorditivi per l'epoca, che pur apparendo datati al giorno d'oggi incutono comunque rispetto per l'ovvia abilità artigiana e l'impegno profuso nel realizzarli.
L'erezione dell'obelisco all'inizio del film, visto tra l'altro per lo più sullo sfondo perfettamente integrato con le immagini in primo piano degli attori; l'apertura del Mar Rosso, con le riprese invertite del liquido rovesciato nel fossato utilizzato in retroproiezione; ma anche trucchi più pratici e sottili per dare vita alle dieci piaghe d'Egitto, o anche solo la meravigliosa ripresa degli eserciti di Ramses mentre lasciano la città all'inseguimento degli ebrei in fuga lasciano tutte a bocca aperta, non fosse perché, in un modo o in un altro, è tutto vero e non vi è niente di finto. Come siamo viziati dalla computer grafica al giorno d'oggi...
Onore inoltre allo sforzo congiunto di una sceneggiatura ben calibrata, una regia dalla mano ferrea e un montaggio senza sbavature per il modo in cui la vicenda riesce a reggersi in piedi a dispetto della durata di quasi quattro ore: la storia si dipana prendendosi il suo tempo, ma mai con eccessiva lentezza, e solo verso la fine, quando l'epilogo vero e proprio esita ad arrivare, comincia a venir meno l'interesse, anche se a quel punto è soltanto questione di minuti e perciò non va ad influenzare molto la visione; merito anche dell'imponente colonna sonora di Elmer Bernstein, che sa creare sempre l'atmosfera giusta.
Per me, il film poteva tranquillamente finire con la sconfitta dei soldati di Ramses al Mar Rosso, ma a quel punto manca ancora un'intera mezz'ora dedicata alle tavole dei comandamenti del titolo e alla costruzione del vitello d'oro. Sì, da una parte è necessario, visto che giustifica il titolo e porta a compimento la storia, che pure deve mostrare l'arrivo degli ebrei nella terra promessa; ma come epilogo se la prende davvero un po' troppo comoda.
Ma cos'è un grandioso film epico senza un buon cast a supportarlo? Ed ecco infatti uno dei tanti esempi di cast di all-stars, ripieno fino all'orlo di grandi nomi, dalle stelle di primo piano a caratteristi capaci di rendere memorabili i loro personaggi in solo pochi minuti di tempo. Charlton Heston, forse l'attore più granitico ad essere emerso dalla folta schiera di divi dell'epoca, è la scelta perfetta per Mosè, almeno per la versione idealizzata e romanticizzata che il film presenta: è intenso e teatrale al punto giusto, qualche volta sopra le righe e sicuramente non supportato dalla sua barba esageratamente folta e bianca e palesemente finta, ma sempre credibile. Gli si contrappone un Yul Brinner freddo come il ghiaccio, forse anche troppo, visto che il suo status di villain cattivo a tutti i costi e privo di qualsiasi sfumatura di umanità lo rende alquanto monodimensionale. Fra l'esercito di spalle si fanno ricordare il sempre affidabile Edward G. Robinson, viscido e manipolatore, e il torturatore di Vincent Price, famoso per il suo contributo al cinema d'orrore di nicchia. Detto questo però, non ritengo si possa parlare di un film totalmente perfetto, checché ne dicano gli estimatori; a parte il relativo calo d'interesse nell'ultima mezz'ora, infatti, il film soffre parzialmente del trascorrere del tempo e del cambiamento nel modo di fare cinema che esso ha portato. In tale contesto, l'impostazione melodrammatica, che a tratti sfiora la soap opera, diminuisce alquanto l'impatto drammatico di certe scene. Ma oltre a questo, ammetto che il messaggio del film, o almeno il modo in cui esso viene veicolato, mi ha lasciato un po' perplesso: non viene mai ammesso niente a voce alta, ma ho percepito nel modo in cui sono presentati gli eventi, un non so che di arrogante e pretenzioso che mi ha un po' disturbato.
Nell'introduzione, DeMille afferma che il film intende porre la questione sul vivere sottomessi a Dio o alle leggi di un dittatore, che già di per sé ho trovato una sorta di esagerata semplificazione della faccenda. Ma per di più, nel corso della durata e soprattutto nella seconda parte, quando Mosè torna in Egitto e da inizio al confronto con Ramses, ho quasi avuto l'impressione che il film stesse celebrando l'assoluta superiorità di quel Dio nei confronti di tutti gli altri. Come se il film stesse dicendo: "Guardate, guardate quant'è potente il nostro Dio, tutti gli altri, di ovunque siano, sono delle nullità al confronto!". Come ho già detto, questa cosa non viene mai detta apertamente, ma l'ho comunque percepita; se sia stata una cosa voluta oppure no non lo so, o magari era solo una mia impressione, ma sta di fatto che mi ha turbato un po' come impostazione.
In ogni caso, anche se questi difetti calano lievemente il livello di gradimento della visione, di certo non sono sufficienti a distruggerlo; e in forza del suo aspetto tecnico e della maestosità della messinscena, nonché l'universalità della storia di base, si capisce come il film si sia meritato i continui passaggi in televisione nel periodo pasquale che l'hanno introdotto man mano a nuove generazioni di spettatori e cinefili. Alla luce di ciò, l'ultimo lavoro cinematografico di Cecil B. DeMille si conferma come uno dei caposaldi del genere epico, una pietra miliare di sontuosa spettacolarità ed effetti speciali di massimo livello e certamente, senza mezzi termini, il capolavoro del regista.