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C'ERA UNA VOLTA A... HOLLYWOOD regia di Quentin Tarantino

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Spotify     8 / 10  29/09/2019 23:45:15Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
--- PRESENTI SPOILER ---

Ebbene, eccoci finalmente alla nona fatica di Quentin Tarantino, uno dei registi più amati degli ultimi 25 anni.
C'era grandissima attesa per questo "Once Upon a Time in...Hollywood" e devo dire, che non mi ha pienamente soddisfatto. Sicuramente un bel film, ma, personalmente, mi aspettavo un vero capolavoro.
La trama è ambientata nella Hollywood del 1969 ed è incentrata su Rick Dalton, attore in declino e il suo autista/stuntman, Cliff Booth. Dalton, il quale ha avuto un passato glorioso come attore di pellicole western, viene chiamato per recitare proprio in un film del medesimo genere. Per Dalton può essere l'occasione di risalire la china. Sullo sfondo, si osservano i cambiamenti artistici e sociali di Hollywood, con le vicende legate agli hippy, Sharon Tate e la "famiglia Manson".
Bisogna dire che non c'è una vera e propria trama così come non c'è un vero protagonista. O meglio, protagonista è la Hollywood del 1969, la quale la vediamo affacciarsi ad una nuova era, mentre quella precedente tramonta. Tarantino, in questo suo lavoro, fa una sorta di tributo al cinema in generale e più precisamente, al cinema di quel periodo, che oggi, ormai, non esiste più. Ci sono tantissime citazioni a pellicole e serie televisive proprio di quegli anni e ciò sottolinea quanto il regista amasse quelle produzioni. Lo stesso vale per alcuni attori del tempo, ad esempio c'è la comparsa di Bruce Lee, impersonato da Mike Moh. Quello di Tarantino, dunque, è un omaggio ad un mondo che, si, non c'è più ma è rimasto vivo nell'immaginario collettivo, anche a causa di determinati eventi accaduti in passato. La location con annesso periodo temporale, è sicuramente valorizzata benissimo dal director, il quale ha voluto concentrarsi su un periodo di cambiamenti per quanto riguardava il cinema, ma non solo. Viene dato molto spazio anche al fenomeno hippy, che ai tempi dilagava e, naturalmente, si da uno sguardo pure alla congrega di Manson. Nulla di tutto ciò è pero veramente approfondito, semplicemente perché Tarantino ha voluto realizzare proprio uno spaccato della Hollywood di fine anni 60, senza andare troppo nel dettaglio. E questo secondo me è giusto, perché la pellicola, pur rimanendo vaga sugli argomenti sopracitati, è paradossalmente più interessante. Non si fossilizza su una cosa in particolare. Ma ovviamente, nulla è messo a caso. Alla fine, il film è tutto un puzzle che va a comporsi, con svariate vicende che paiono parallele, ma che alla fine confluiscono.
Sicuramente, questa spudorata dichiarazione d'amore per il cinema da parte del regista, è lodevole. Ma allora dove sta il problema? A parer mio, il film vive troppo di citazioni. Ce ne sono talmente tante, che, a volte lo spettatore perde la connessione con il nucleo centrale della pellicola. Era necessario? Secondo me no, perché la storia ne risente. Sicuramente non è sbagliato fare citazioni ad altri film, cosa che Tarantino tra l'altro ha sempre fatto, ma qui si esagera.
Certamente, il Tarantino del 2019 è arrivato ad un processo di maturazione definitivo: tecnicamente, siamo su livelli impeccabili, la tematica trattata è quantomeno originale, i dialoghi sono "Tarantino" al 100% e la violenza è messa parzialmente da parte. Se vogliamo, possiamo dire che il regista in questo caso lo troviamo persino un po' nostalgico: ciò lo si vede dalla meticolosità che ha usato per ricostruire, nei minimi dettagli, un ambiente oramai passato e dal finale che, forse, mostra come sarebbero dovuti andare i fatti secondo il regista.
La caratterizzazione dei personaggi è eccellente: Rick Dalton è un attore in declino è rappresenta un po' tutti quegli attori di Hollywood che a fine anni 60, stavano cominciando a perdere popolarità e quindi accettavano anche produzioni di livello più basso, pur di restare in pista. Dalton non è un soggetto facile da inquadrare: è molto versatile, in quanto passa da momenti di sconforto totale ad altri dove spruzza ironia da tutti i pori. Il personaggio di Rick è un uomo complesso ed esprime cosa significhi per un attore famoso intravedere il tramonto della propria carriera. Cliff Booth è senza dubbio il personaggio più cazzuto di tutta la pellicola: sicuro di se, forte fisicamente, impavido e sempre con la battuta pronta. Sicuramente Booth è il personaggio che porta la trama sull'ambiente della strada e lontano dai set cinematografici. Cliff è uno che vive quasi alla giornata, ma è soddisfatto. E' l'autista e stuntman di Rick, ama il suo cane e vive in una roulotte. E' una figura completamente in sintonia con lo stile di vita della Hollywood del '69, malgrado non gli interessi partecipare ai fenomeni sociali dell'epoca. Tarantino crea una perfetta alchimia tra Cliff e Rick: sono due tipi diversi, quasi opposti ma vanno d'accordo e collaborano. Dalton non tratta mai come uno schiavo Cliff, anzi, lo considera un amico e d'altro canto, Booth non si sente il servo di Rick ma lo serve con piacere. Il rapporto tra i due uomini è sincero, l'uno si fida dell'altro. Alla fine è come se Rick e Cliff fossero una persona sola, con due personalità diverse.
Sharon Tate invece, è un altro dei grandi difetti della pellicola: io mi aspettavo un personaggio decisamente approfondito, invece si tratta di un soggetto che parla pochissimo e soprattutto non incide. Francamente non sono riuscito a capire l'utilità di Sharon Tate nella pellicola. Non aggiunge e non toglie nulla, semplicemente anonima.
Credibili tutti gli altri personaggi di contorno tra cui gli hippy, ben amalgamati nel contesto del film. A tratti, svolgono un ruolo quasi centrale.
La durata è certamente consistente, 160 minuti. Però, come accade per tutti i film di Tarantino, la narrazione è vivace e l'attenzione non cala mai. La storia è sempre imprevedibile e presenta più sottotrame, tutte ben impastate tra loro, quindi la tensione è costante.
Tuttavia, va detto anche che la storia a volte si ferma e non va avanti. Paradossalmente, quando capitano tali momenti, il film non diventa macchinoso, però si ha la sensazione che alcune scene siano state girate solo per allungare il brodo. Diciamocela tutta, se la pellicola fosse durata 20 minuti di meno non sarebbe cambiato assolutamente nulla.
Tecnicamente, il regista è in totale stato di grazia. Tante inquadrature suggestive, tra cui parecchie su le stesse strade di Hollywood, segno di come Quentin volesse assolutamente tributare il luogo. Non mancano autentici colpi di genio, come la scena che vede protagonista Booth nello Spahn Ranch. Qui, lo stuntman vuole conoscere George, un vecchio collega ma un gruppo di hippy che vive li, non è d'accordo. Di conseguenza, abbiamo una sequenza dove l'atmosfera si fa quasi horror, per via sopratutto delle gesta dei figli dei fiori, che, nel tentativo di intimidire Cliff, si muovono come degli zombi. Davvero una grande scena.
Anche il fare, a tratti, un film nel film è stata una scelta azzeccata: mi riferisco, ovviamente, alla parte che vede Di Caprio recitare per il western. Sembra davvero di assistere ad una pellicola vera e propria.
La violenza stavolta non è la solita. Non siamo di fronte alla classica storia alla Tarantino, quindi il sangue è presente in minor quantità. Solo nel finale torna quella cara, vecchia, violenza pulp che ha reso così popolare il regista. A proposito del finale, forse il miglior momento della pellicola: come detto, riemerge la violenza e si scatena un putiferio! Assistiamo una clamorosa scena di colluttazione dal sapore grottesco, come solito fare di Tarantino. Ci sono teste spaccate, lanciafiamme e cani che evirano le persone. Tutto fottutamente magnifico. Sicuramente tale epilogo, fa riprendere quota al film, che nei precedenti 20 minuti si era effettivamente fermato.
La fotografia è perfetta: scintillante, luminosa, replica benissimo l'atmosfera del tempo attraverso dei colori vicini al rosa. Ben ritratto anche lo sfarzo che all'epoca predominava.
La scenografia si completa in maniera impeccabile con la fotografia. La Hollywood del '69 è stata riportata letteralmente in vita da Tarantino e dalla scenografa Barbara Ling. Sembra davvero di assistere ad un film girato in quel periodo. Le case, i palazzi, le strade, le macchine, tutto funziona a meraviglia.
Un plauso anche ai costumi di scena, veritieri, colorati e molto appariscenti.
Il cast è naturalmente eccelso e, come spesso accade nei film di Tarantino, è quasi corale, non c'è un protagonista vero. DiCaprio fantastico come sempre, anche se stavolta non è centrale come altre volte. La performance dell'attore è davvero splendida, estremamente versatile, in alcuni casi persino toccante. Poi, appare sempre a suo agio malgrado nel film, spesso, debba recitare numerosi sketch dove lui impersona costantemente personaggi diversi. Impeccabile l'interpretazione dei dialoghi e gran lavoro come sempre del doppiatore Francesco Pezzulli.
Brad Pitt è semplicemente spaziale. Sicuramente una delle migliori performance dell'attore di Shawnee. Pitt da prova del suo grande carisma, della sua capacità di adattarsi a situazioni perennemente diverse tra loro, del suo sguardo magnetico e della sua versatilità. Una prova davvero strabiliante. Dialoghi magistrali.
Margot Robbie invece è totalmente sprecata, non saprei come altro definire la sua prova. Sicuramente la bellissima attrice sa stare davanti la telecamera, le viene naturale, ma in questo film non si capisce cosa ci stia a fare.
Bella la comparsa di Al Pacino, il quale malgrado l'età avanzata, sa ancora fare il suo mestiere.
La sceneggiatura è senz'altro buona, anche se non perfetta a mio avviso: i dialoghi ci sono, quelli sempre, in più di due ore e mezza di film non annoiano mai. Ironici e sarcastici. Un po' più dosati nelle scurrilità. La stesura dei personaggi è perfetta, tutto studiato nei minimi dettagli e c'è una amalgamazione ottima tra tutte le varie vicende della storia: da Rick Dalton alla setta di Manson, passando per la storia personale di Cliff. Quello che a mio avviso non va bene, risiede nell'impianto narrativo: la trama non vive di exploit, è tutto un procedere abbastanza ordinario, non arriva mai quel momento che da una sterzata alla storia. Forse Tarantino stesso ha voluto questo, in quanto ha realizzato un film diverso dal solito, ma io mi aspettavo comunque qualcosa in più. Sicuramente l'epilogo, maschera in parte tale debolezza da me descritta, per via specialmente di un paio di trovate geniali.


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Conclusione: che altro dire? Di certo non il miglior film di Tarantino, anzi, parecchio inferiore a buona parte della sua filmografia. Malgrado ciò, è una pellicola che sa il fatto suo, che è recitata divinamente e che regala comunque momenti di grande cinema. Il sette e mezzo alla fine mi sembrava ingiusto, quindi do un otto, seppur stiracchiato. Bello, ma lontano dall'essere un capolavoro.
Invia una mail all'autore del commento cupido78  01/10/2019 00:19:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
alle medie ti avranno sicuramente detto di migliorare la capacità di sintesi...
Spotify  03/10/2019 01:02:50Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E se ti dicessi che volevo fare apposta un commento lungo? Non ti è passata per la testa tale idea? E poi non credo che tu sia il gran visir degli scrittori...