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JOKER regia di Todd Phillips

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RDN92     8½ / 10  14/10/2019 14:39:35Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sono già in molti coloro che etichettano questo film come "d'autore" in maniera, direi, del tutto fuorviante, basando le loro impressioni su una storia che si discosta, senza alcun dubbio, dai pre-confezionati film supereroistici e tratti temi più profondi, sociali e avvicinandosi a un cinema più impegnato e meno di genere (appunto, supereroistico).
Per me, al contrario, è essenziale inquadrare questo film all'interno di una cornice "main stream", che mai e poi mai è da additare come una parolaccia, se vista nella giusta prospettiva.
Questo film si rivolge al grande pubblico e lo fa rispettando, comunque, determinati canoni del cinema di massa hollywoodiano.
Stento davvero a credere che Phillips (un regista di commedie, per lo più, non che lo voglia marchiare a fuoco con questo) desiderasse spingere il suo "impegno" (chiamiamolo così, insomma) verso livelli più alti, strizzando l'occhio a una critica più sopraffina. Parliamo pur sempre di un personaggio appartenente alla grande cultura di massa.
Ciò non di meno, egli lo fa con un certo gusto nelle immagini e in particolar modo una fotografia, tra realismo e fumetto, intonata all'umore del protagonista e alla degradante realtà sociale nella quale vive, vissuta attraverso i suoi stati d'animo, e facendo pienamente attenzione alla crescita del personaggio durante tutto l'arco del film. Sì, perché nulla è lasciato al caso e scopriamo sempre, attimo per attimo, minuto per minuto, cosa scatena la follia in Arthur Fleck.
Ma la follia è solo un tratto consequenziale, poiché il film accende i riflettori soprattutto sul tema della solitudine, il reale disagio alla base della vita di Fleck.
Giungo tardi a scrivere la mia recensione e ciò mi costringe a ripetere analisi già estrapolate da altri, ma perché sono sicuro che un pò tutti abbiamo empatizzato col protagonista, giustificandolo, forse, a tratti.
Va dato atto che il caos dentro Fleck appartiene a tutti noi e, se opportunamente stimolato, esce fuori dirompente, ma non posso dire con certezza che tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo sentiti come lui, soli e incompresi, schiacciati dalla nostra condizione, incapaci di materializzare i nostri sogni, probabilmente perché, in fondo, non ne eravamo all'altezza o ci avevano ingannato. Ci sono le vittime e ci sono i carnefici, i predatori e le prede.
Ma allora perché scandalizzarsi e decantare "moralità" quando le vittime si scatenano (nel senso proprio di "liberarsi dalle catene") e reagiscono, privi degli strumenti adeguati (e culturali) per farlo, con violenza, dibattendosi ferocemente, impazzendo anche?
Già, perché agli umiliati (soprattutto quelli appartenenti alle classi meno abbienti, come Fleck, sebbene io preferisca riferirmi a una più generale condizione umana) manca culturalmente una via d'uscita alla sottomissione, ubriachi come sono (siamo) dalle grandi ideologie sataniste promulgate dall'alto dei cieli (quelli in terra), per mano dei media.
Del resto, Arthur vive con la grande illusione di poter, un giorno, divenire qualcuno in televisione, un grande comico, e cioè avere un grande genitore (nota dolente alla sua storia personale) che lo abbracci e lo faccia sentire accettato, ovvero la nota dolente alla storia personale di tutti noi: l'essere riconosciuti all'interno di un gruppo. Ma, come ho detto, si parla di sogni ingannatori, indotti e mai veramente propri.
Cosa resta loro, dunque, se non impazzire, dal momento che quel piccolo barlume di lucidità, molto precario, viene guardato con indifferenza, bollato come diverso?
Non stupiamoci, quindi, se un giorno quei pazzi che noi stessi abbiamo creato (evitando di preoccuparci di loro, ghettizzandoli) si rivolteranno contro di noi, incanalando la loro più che giustificata rabbia (perché, perbacco, se la rabbia del Joker ha un fondamento) nella violenza e nel caos, ciò che per loro, a questo punto, ha davvero più senso (e qui un qualcosa in comune con Ledger).
E come il saggio Alfred ci disse, riferendosi proprio a quell'altro Joker: "certa gente vuole solo veder bruciare il mondo".
E da qui il grande climax finale, dove quel pensiero trova concretizzazione e nel quale, finalmente, Arthur trova la sua casa, un luogo e un branco all'interno del quale potersi identificare, affermare di esistere, esserne addirittura il primo discepolo, il caos, la rivolta dei pazzi.
Finalmente Arthur ritrova il sorriso e una ragione per "far sorridere".
Una comicità del caos.
"Non è bellissimo?"
Insomma, alla fine il cinema ci fornisce una chiave di lettura a tutto tondo di questo iconico personaggio, molto diverso dai suoi predecessori.
Nicholson e Ledger erano i "villain", i cattivi per eccellenza, le controparti dell'eroe (Batman), e nonostante le loro azioni avessero un valore (Nicholson era più farsesco, solo in Ledger si ravvisava una certa etica nelle sue azioni spregiudicate), il loro obiettivo era quello di esaltare i valori positivi del supereroe. In questo film avviene un brillante ribaltamento e, paradossalmente, Joker assume le sembianze di un "eroe", un giustiziere, per contro ai suoi "nemici", ovvero la società e i suoi mastini, incarnati nel ricco Thomas Wayne e nello showman De Niro.
Essi hanno, ancor più paradossale, un carattere anche più ambiguo di quello di Fleck: Wayne è un politico demagogo, finge interesse per gli umili ma li prende a pugni in faccia (letteralmente!) appena gli si accostano e chiedono aiuto, per non parlare del suo proclama sprezzante e caritatevole, dove afferma di voler aiutare non delle persone, ma dei poveri disperati, dei clown. Vuole gettare la spazzatura, non realmente sanarla, ed è sottointeso che i suoi interessi guardano in direzione dell'elite a cui appartiene (il pensiero mi va subito alla famiglia Clinton). De Niro, invece, è l'uomo di spettacolo affabile e accogliente, ma sotto sotto infido e ipocrita.
Entrambi, insomma, sono vestiti di una morale di plastica e decadente, dal loro pulpito emanano sentenze, investiti come sono del potere mediatico e politico, del loro carisma da venditore di aspirapolveri e del potere che, ignara, la massa gli fornisce, svuotandosi del proprio. Per contro, come dicevo a proposito del paradosso, assumono una certa incoerenza al cospetto del Joker, coerente nel suo essere folle e assassino.
Una persistente critica "trumpiana" del cinema americano, ma questa volta lontana da facezie, colpi gratuiti e buonismi borghesucci. Parlo di quei (buoni, s'intende) "filmetti" come Green Book e The Shape of Water (che non mi è proprio piaciuto), scansando le nobili intenzioni di Cuaròn e la satira pungente di McKay col suo Vice. Il punto sostanziale qui è davvero evitare facili derive estremiste e violente di facinorosi, promuovendo una classe politica democratica e saggia e realmente attenta ai bisogni della popolazione più disagiata.
Venitemi ancora a parlare di presunta "autorialità"! Abbiamo dimostrato che non esiste la necessità di fare gli autori per inserire tutti questi elementi e punti di osservazione all'interno di un film fatto bene, anzi, egregiamente.
Ci ricorda che il cinema main stream non solletica solo le parti basse del pubblico più pecorone, che non desidera concentrarsi e impegnarsi a capire, ma che si sforza di dialogare col pubblico più variegato grazie ai suoi elementi più caratteristici.
Suppongo che al toto oscar tutti noi punteremo il nostro euro su Phoenix, straordinario interprete al pari di Nicholson e Ledger.
Non voglio assolutamente fare paragoni, i tre Joker sono unici nelle loro peculiarità fornitegli da questi tre grandi attori, ma certo quello di Phoenix si può definire come il più completo, il più ricco di sfaccettature, il più complesso e, dunque, quello che necessitava di una prova attoriale maggiore.
La visione di un Phoenix/Fleck smunto, magrissimo, scheletrico, fanciullo spaurito in mezzo a un branco di lupi, con quella sua vocina tenera (lode al young Giannini, nuovamente, ma recupererò l'originale) e gli occhi da cucciolotto, è davvero straziante, ma allo stesso tempo intimorisce per il suo lato oscuro. Dall'altra parte, lode al sempre grande De Niro, una particina la sua, ma essenziale e perfettamente caratterizzata dal grande attore, quasi in disparte per meglio risaltare le qualità di Phoenix.
Si sprecano i rimandi "scorsesiani", produttore esecutivo: la comunanza con Brickle, la mano a pistola alla tempia, la finta intervista a la Re per una Notte, per un film che è già mito. Determinate scene come il sorriso finale, la danza sulle scalinate, sono già impresse nella memoria collettiva e non mancheranno di citazioni.
Non posso dire quale sarà il destino di questo film di fronte alle importanti cerimonie di premiazione che lo attenderanno, è già stato parecchio sorprendente il Leone D'oro che, a mio avviso, è stata la ragione alla base di questa incomprensione fra autorialità e main stream (ma Venezia si sta sempre più aprendo al main stream).
Fatto sta che, per voto unanime, ci troviamo di fronte al miglior film del 2019 e della prossima stagione cinematografica.











RDN92  14/10/2019 14:50:06Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ho dimenticato di aggiungere un particolare: il mio profondo ringraziamento a Phillips per aver lasciato in disparte riferimenti e inutili simbologie legate all'uomo pipistrello. A parte una breve carrellata sul finale a Bruce, non ci sono state facilonerie come inquadrature che mostrassero il piccolo Batman nell'atto di fare pose da "un giorno mi vendicherò, cattivoni". Questo non è il suo film.
E' il film del Joker. Ma, in fin dei conti, il personaggio in sè è un buon pretesto per raccontare qualcosa di più grande e non la semplice genesi di un mito.