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OGNI COSA E' ILLUMINATA regia di Liev Schreiber

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     5 / 10  15/11/2005 00:08:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La locandina del film di Schreiber sta a metà strada tra l'Andy Warhol dei manifesti e certa propaganda à la Douglas Coupland periodo "Generazione X Un vettore accattivante e ilare, decisamente contraddittoria in uno script del genere. Come del resto è discontinuo il film, quando ammicca a una certa ironia populista in un contesto ben piu' duro e drammatico di quanto sembri. Il volto di Jonathan (un Wood nuovamente alle prese con anelli, ma un passato non così remoto e nessun incantesimo Tolkieniano) è illuminato ma da un pallore decisamente anticonvenzionale per un'americano, a tratti sembra davvero di vedere l'Hanks russo di "the terminal" spaesato e goffo. Nel gioco delle parti (sovrapposte) un ucraino diventa la perfetta reincarnazione del perfetto americano made in Russian, un coatto tutto american lifestyle hip hop skateboard e McDonald. La parete della stanza di Wood, partito per la Russia alla ricerca delle sue radici, è un muro di oggetti sovrapposti e legati a un'unico albero genealogico, il suo. La cosa piu' interessante del film è proprio questo divario tra le due parti in causa, o il legame che si crea tra l'occhialuto John e un'ucraina un tempo giovane e bella la cui casa sembra un enorme magazzino di scatole da scarpe dove pero' "vivono" dentro le tracce delle persone estinte, ognuna delle quale porta un nome, un'aggettivo, o un'avverbio ("casomai", fattore di persistenza perenne della memoria) L'Ucraina di oggi tra rimozioni forzate (gli occhi di chi "non vede" sono le anime ferite da laceranti ricordi) e una certa passiva accettazione ai trendy americani, si identificano con il giovane accompagnatore, già autore del romanzo originario, una sorta di John Turturro prima maniera che frena i suoi istinti prima di diventare parodia di se stesso. Più interessante la figura del nonno, gli occhi del ricordo e della ferita fatale, di chi ha compreso di aver cancellato soprattutto se stesso. Al di là del peso insostenibile di una nazionalità che non si riconosce piu' e che il regista cerca disperatamente di divulgare, questo film non è altro che l'ennesimo tassello contro il tasto dolente della rimozione , con un'intreccio per certi versi non dissimile dal piu' riuscito "cammiando nell'acqua". Immerso in note gitane che farebbero morire d'invidia un kusturika e il suo "spirito slavo", il film fatica pero' a trovare la sua dimensione: da una parte il peso insostenibile dei ricordi attraverso i flashbacks quasi horror, dall'altro una disperata vocazione all'umorismo sottile e accomodante che cerca di frenare la pesantezza dell'insieme O anche un certo lirismo gratuito (si pensi all'immagine dei campi di girasole) Insomma, non riesce a venire a patti con la sua vera natura, e non è questione esclusivamente di radici: tutto è incancellabile, e ogni cosa si illumina del silenzio della fine, cioè della rimozione stessa del passato"