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SHANGHAI DREAMS regia di Xiaoshuai Wang

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Invia una mail all'autore del commento jane eyre     8 / 10  02/01/2006 20:57:51Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'ambientazione del film immerge in un attimo l'animo e la vista dello spettatore occidentale in una realtà a lui poco conosciuta, marginale, ovvero la Cina centrale di inizio anni '80 dove, su ordine del regime, molti operai di Shangai furono costretti a trasferirsi per lavorare nelle fabbriche di un entroterra cinese alquanto inospitale, dovendo così abbandonare i propri luoghi natii.
Inimmaginabile sarebbe pensar-si altrimenti, ribellarsi all'ordine ricevuto o sperare di poter essere padroni del proprio destino e delle proprie decisioni. Sembra che nulla, o quasi, sia cambiato da quel tragico senso di ineluttabilità che attanagliava le fragili esistenze dei giovani protagonisti di “addio mia concubina”, dove, all'assurda imposizione di far pronunciare ad un ragazzo (a suon di botte) quel “io che son fanciulla per natura”, non poteva seguire altro se non la fatale accettazione di un destino già segnato da una società crudelissima, che imponeva ai figli suoi di rivestire dei ruoli sociali e /o culturali (e addirittura sessuali) senza far sperare mai che il singolo potesse ribellarsi ad un ordine calato e imposto dall'alto, quasi fosse ordito da una volontà a lui trascendente. Accettazione e psicologico auto-convincimento o, in caso, come ultima scelta, intima ribellione ad un ordine di cose a cui si può rispondere solo con la rivolta contro se stessi: il suicidio.
Eppure, “addio mio concubina” ci mostrava una Cina pre-regime (anche se di poco), eppure, nonostante i rivolgimenti e le stragi in nome di un ordine nuovo (la Rivoluzione), nulla sembra aver portato ad una nuova concezione dell'individuo che ha continuato imperterrito a percepire se stesso con la stessa crudeltà di prima e, in linea con i millenni che lo precedettero, come ingranaggio di un TUTTO dove il singolo è solo funzionale alla sopravvivenza di questo tutto. Funzionale eppure non necessario.
Gli anni son passati eppure in “shangai dreams” si respira ancora quel senso di ineluttabile destino a cui ciascuno sembra essere votato sin dalla nascita.
Colui che tenta di ribellarsi sa che questo gesto porterà all'eliminazione della sua persona, perché il sistema, pur di preservare se stesso da possibili attacchi, non esita a fare fuori colui il quale, col suo “scellerato” comportamento individualistico, possa minimamente far traballare l'enorme struttura che si nutre di vittime sacrificali destinate ciascuna ad un suo preciso ruolo e compito.
Chi osa “sognare” rischia l'eliminazione fisica, senza se, senza ma.
Ogni personaggio appare in balia di un sogno: il padre della protagonista sogna di ritornare alla sua amata shangai che dovette lasciare per seguire il trasferimento delle fabbriche nell'entroterra; la figlia sogna un amore corrisposto con un ragazzo del luogo, a cui dovrà rinunciare facendo violenza a se stessa, nel momento in cui, svanendo in lei la speranza stessa di vedere coronato il suo desiderio d'amore, accetta interiormente con cupo fatalismo il destino che le è stato assegnato. C'è l'amica della giovane che sogna di sposare “il bello” del paese, ma il destino del ragazzo (che pur a suo modo cerca di ribellarsi) è segnato anch'esso dai suoi stessi errori che dovrà pagare e “raddrizzare” pur di riessere riaccettato dalla comunità.
Ognuno sembra vittima di un destino che non si è scelto e la ribellione, quando appare esservi, è e appare vana, aleatoria, fanciullesca, perché nella ribellione dei personaggi c'è solo lo scatto rabbioso e impotente di un sogno a lungo represso.
Qui c'è ribellione senza rivoluzione. Quest'ultima contempla in sé un processo lungo di presa di coscienza, messa in discussione di se stessi e di un ordine precostituito che si vorrebbe abbattere. Nella prima c'è solo azione fine a se stessa non supportata da ragione e cosciente lungimiranza.
E la crudezza di un sistema così meccanico e inumano genera mostri, trasformando un placido ragazzo smunto di campagna da vittima di un desiderio in carnefice. L'innamorato della protagonista, respinto dalla giovane, che ha negato dentro se stessa il desiderio d'amore (la violenza più sottile, più crudele a pensarci), sfoga sulla ragazza una violenza fisica, risvolto materiale e tangibile di una violenza psicologica e mentale che i personaggi (tutti) sembrano subire (da un potere invisibile) e portati coattivamente a riprodurre dentro e fuori se stessi.
Il dramma si fa tragedia e il destino del giovane, e di tutti coloro che osano “sgarrare” dalle regole del sistema, è segnato: dovrà pagare con la vita.
La giovane protagonista è colei che non tenta nemmeno con “fanciullesca ribellione” di cambiare la sua vita. Ogni speranza ormai è lungi da lei,ed è forse questa la tragedia maggiore: l'incapacità a viver-si col senso di possibilità, abbandonandosi così ad una vita vissuta con l'ineluttabile fatalismo che nulla possa dipendere dalle sue scelte e cambiare.
Eppure, l'implosione finale della protagonista segna il picco del suo malessere interiore e traccia i contorni dell'unica dimensione che le rimane per poter esprimere se stessa. Unica strada per esprimere il proprio dissenso, protesta dai connotati tutti orientali, sembra rimanere solo ed esclusivamente l'annullamento di se stessi, dato che, impossibili sembrano gli ostacoli da rimuovere frapposti tra sé e il sogno che si vorrebbe realizzare.
Il finale però, lascia aperto il varco di una flebile speranza e di un sogno che forse, potrebbe anche realizzarsi… però soltanto disubbidendo…
liu_mi  28/01/2006 11:43:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ottimo commento, soprattutto quando parli del finale... son d'accordo su tutto.
neve  24/02/2006 20:58:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
io non l'ho trovata questa apertura nel finale, mi potete illuminare?
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  10/03/2006 21:22:18Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Io ti sposero'