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FRANK COSTELLO FACCIA D'ANGELO regia di Jean-Pierre Melville

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JOKER1926     7 / 10  15/01/2013 15:43:03Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'intensità e l'eleganza sono le prime cose che invadono il film francese di Melville del 1967, "Frank Costello faccia d'angelo".
Protagonista incontrastato di Melville è Alain Delon in una prova di sguardi e di silenzi d'altri tempi.
Il suo personaggio, Frank Costello, è consegnato direttamente alla storia.
La pellicola è un poliziesco/noir (Polar) che esalta la propria essenza in una storia blindata ove un sicario, bello e oscuro, è in un circuito tremendo, da una parte c'è la polizia che lo pedina, dall'altra la malavita che vuole ucciderlo. Le uniche persone che lo aiutano sono due donne.
Melville offre allo spettatore un film di classe e di immane raffinatezza. Le scenografie e le atmosfere certificano la solitudine del personaggio in modo cronico. A scandire il tutto non saranno questa volta le parole bensì l'agire di un uomo ermetico e fondamentalmente solo, abbandonato ad un disegno incerto.
"Frank Costello faccia d'angelo" cattura per un'intensità altissima ,si soffre e si spera insieme a Frank per tutta la durata del prodotto cinematografico, il cinismo e il silenzio sono altri enti che pervadono la scena.
La fotografia del film e gli attori sono quella stoccata vincente.

Indagine sull'icona Costello

E' una faccia d'angelo il Killer che uccide per commissione. In scena Alain Delon fa diventare immensa, cupa e decadente l'icona di Costello.
La regia anche con "I senza nome" (1970) mette in circolo la sua logica decadente; gli uomini di questi film sono pedine inserite in scacchiere beffarde, la soluzione alle volte converge totalmente, definitivamente nella morte.
Costello vive secondo concezione personale, anche se questa fatidica "concezione" si avvale del diritto di non rispondere; sta allo spettatore carpire non tanto il presente del protagonista ma il suo passato…
La sua casa e i suoi gesti, metodici e quasi scaramantici, segnano, una volta e per sempre, l'immagine di un uomo standardizzato nella sua non omologazione. L'uccellino e la gabbia sono splendide metafore. Il primo è quella fidata ancora di salvezza; la seconda (la gabbia) rappresenta il mondo circoscritto di un uomo che non ha via di scampo. Il tutto diventa chiaro nell'assurdo e bellissimo finale che richiama il titolo francese, "Le Samourai".
A fine visione oltre l'alone isolato, notturno e avvilente rimane lì, l'anima di un samurai che ha vissuto quello che aveva nella sua logica, coerente e sopra le righe nel nome di un'Immortalità spirituale.