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L'ORA DEL LUPO regia di Ingmar Bergman

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amterme63     8 / 10  25/12/2010 22:32:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Prosegue il viaggio di approfondimento di Bergman sul significato e sulla natura della vita e dell'animo umano. Il suo approccio rimane generale, universale e di tipo razionale/esistenzialista. I suoi soggetti sono quasi esclusivamente persone di arte o di cultura, in ogni caso gente consapevole e che riflette su se stessa, sulla propria esistenza e sul suo significato.
Per rendere più chiara, più delimitata e più concentrata la visione, ambienta le storie in luoghi isolati o circoscritti, in situazioni di solitudine.
Queste condizioni che fino ad ora erano accessorie con "L'ora del lupo" diventano determinanti. Il voler isolarsi e il volere a tutti i costi sapere e approfondire gli aspetti più profondi e scomodi della propria e altrui esistenza è l'oggetto del film. Sono aspetti che da essenziali diventano deleteri, perlomeno in maniera implicita.
Il fatto è che con "Persona", nel suo percorso di analisi spassionata dell'essenza umana, Bergman era arrivato alla conclusione che conoscere, scavare nella psiche e nell'esistenza umana, è inutile e non produce gli effetti desiderati. Con "L'ora del lupo" va oltre, certifica addirittura la dannosità del voler conoscere a tutti i costi, il ritorcersi contro e il precipitare della situazione. Si colgono già i primi segni della "crisi della ragione" che scoppierà con forza nel cinema degli anni '70 (l'incapacità e la debolezza della ragione nel controllare gli istinti e le fantasie).
A livello pratico, nel film, il punto di svolta si ha sempre quando un personaggio legge per caso le riflessioni più intime di un altro personaggio (in forma di lettera o diario). Voler sapere, voler essere a conoscenza è spesso peggio di ignorare.
Si pone con forza anche il tema dell'identificazione del "curatore" con il "curato", la perdita della cognizione del confine fra "sano" e "malato", o meglio la consapevolezza che nessuno è sano e che siamo tutti malati.
Lo scacco della ragione è certificato da Bergman comunque tramite la ragione. Questo è un punto basilare. La ragione fallisce nel condurre e dare un senso alla vita pratica dell'uomo, rimane però centrale nella sua rappresentazione. Lo si vede dal fatto che i fantasmi, le fantasie, le proposizioni interiori dei personaggi vengono rappresentati come fatti che si fondono e si confondono con la realtà. Il disprezzo per la mediocrità borghese e i sensi di colpa diventano veri e propri personaggi reali e concreti. Per tutto il film si fa letteralmente fatica a distinguere fra ciò che è reale e ciò che è immaginario e probabilmente si vuol far passare la tesi che le due cose in realtà coincidano. Solo a tratti appare l'irrazionale e le metafore infernali (se non esiste Dio forse esiste il Diavolo) e questi rari momenti fanno l'effetto di una bomba, immersi come sono nel razionale.
Il film non lo dice chiaramente ma è implicito che la solitudine e l'isolamento non hanno fatto altro che esaltare piuttosto che lenire le fratture interiori.
Comunque con questo film si comincia a notare una certa stanchezza compositiva, il ripetersi ormai ossessivo degli stessi temi e soprattutto delle stesse forme. A parte questi piccoli segni, il resto rimane a grandissimo livello: la fotografia, la recitazione, l'ambientazione, la tecnica di ripresa. Bergman è comunque garanzia di alta qualità.