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SULLA MIA PELLE (2018) regia di Alessio Cremonini

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olikarin     8 / 10  28/09/2018 17:05:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il film rende ancora di più se visto in un cinema d'essai in un'atmosfera intima e silenziosa priva della confusione, tipica dei multisala, della gente che sgranocchia pop-corn o disturba con le cannucce. Guardatelo al cinema, non su Netflix. Al massimo, riguardatelo su Netflix.

Ciò che "Sulla mia pelle" riesce a fare bene è portare lo spettatore a immedesimarsi in Stefano Cucchi, interpretato magistralmente da Alessandro Borghi, e ad entrare in empatia con lui. Ci si ritrova con le lacrime agli occhi, a rabbrividire senza accorgersene con mille domande che affollano il cervello. La mia sensazione più forte credo sia stata la rabbia: dove arriva l'indifferenza dell'uomo? Sempre se si può parlare di umanità davanti a infermieri e medici che fanno finta di niente, negano l'evidenza e privano Stefano persino dei suoi diritti e della sua dignità. Potremmo discorrere a lungo anche di abuso di potere, da quando portare una divisa equivale al diritto di pestare un detenuto? Per non parlare della frustrazione della famiglia di Stefano nel non poter fare assolutamente niente se non essere passiva spettatrice degli avvenimenti. Possibile che fosse loro vietato di vedere il figlio? Dicono loro di andare lunedì, poi che serve il permesso del carcere, poi quello del tribunale fino al tragico "ma almeno da morto ce lo fate vedere?" Questa pellicola riesce perfettamente nella misura in cui smuove le coscienze e mette a nudo la parte più marcia della natura umana.

Trovo difficile esprimermi su un film del genere. Non ha senso focalizzarsi sulle scelte tecniche, in questo caso sono secondarie. Trattandosi di una storia vera ci si chiede fino a che punto si possa giudicare. Ci sono dei difetti nella sceneggiatura: si possono davvero definire così? Quelle che apparentemente sembrano delle mancanze sono delle dichiarate scelte: Cremonini è consapevole del fatto che avrebbe potuto concentrarsi sulla vita di Stefano Cucchi precedentemente al suo arresto, ha semplicemente deciso di non farlo. Oppure raccontare esclusivamente la parte giudiziaria. Si tratta di una presa di posizione: c'è chi la apprezza e chi la condanna. Il regista ha voluto narrare la storia di un uomo, le sofferenze che ha patito, le reazioni di coloro che entrano a contatto con lui, né più né meno. La vicenda è questa, il regista non si espone granché, non sta né dalla parte della vittima né da quella dei carnefici.

Alessandro Borghi, ribadisco, superlativo. Riesce a interpretare e a commuovere calandosi ancora una volta in un ruolo alquanto complesso, come già in "Suburra" e "Non essere cattivo". Penso che il film non avrebbe l'effetto che ha né reggerebbe se non fosse per lui, è grazie alla sua splendida capacità di calarsi nel ruolo che arriva come un pugno nello stomaco. Non resta impresso sicuramente per ardue scelte tecniche, anzi, la regia è funzionale alla narrazione. Ma le emozioni restano, quel non riuscire ad alzarsi dalla poltrona alla fine della visione, il fissare lo schermo, ormai nero, anche dopo la fine dei titoli di coda, gli occhi gonfi e la comprensione e le parole gentili di chi a sua volta ha voluto lasciarsi trasportare dalla magia che solo il cinema sa creare.

"Strane ste scale, eh? Feriscono agli occhi e non fanno niente al naso."
"Sì, so strane ste scale."
Il cinema questo deve saper fare: non lasciare indifferenti.