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CENTRAL DO BRASIL regia di Walter Salles

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kafka62     6½ / 10  06/04/2018 19:27:23Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Una curiosa coincidenza lega tra loro i protagonisti bambini di due dei film più importanti della fine del XX secolo, "La vita è bella" e "Central do Brasil": il loro nome. Entrambi infatti si chiamano Giosuè (o Josuè nella versione carioca). Entrambi i film poi, guarda caso, sono imperniati su storie a sfondo tragico con una morale edificante e pedagogica, ed entrambi, infine, sono stati candidati al premio Oscar come miglior film non in lingua inglese. Le coincidenze, per fortuna, finiscono qui, ché altrimenti potrei rinviare senza alcuno sforzo alla recensione del film di Benigni. In realtà le due pellicole sono molto diverse sul piano artistico. Quella di Walter Salles è stata accostata sia all'estetica neo-neorealistica di Gianni Amelio, sia a quella, di segno contrario, di una "telenovela dei poveri", ma de "Il ladro di bambini" conserva solo il tema del viaggio on the road e non certo lo stile sobrio, austero e anti-effettistico (Salles è affascinato dalle "belle" inquadrature, ad esempio un volto ripreso dal basso che si staglia contro un cielo carico di azzurro e di nuvole bianche), mentre della telenovela non ha proprio niente (a meno che non si voglia usare come discriminante il gusto per il melodramma, perché in questo caso si potrebbe far rientrare nel genere anche "Il monello" di Chaplin). Per affinità di spirito e di soggetto, invece, "Central do Brasil" potrebbe essere avvicinato al cassavetiano "Gloria", al bessoniano "Leon" e – perché no? – al wendersiano "Alice nelle città".
Questo per dire che il film di Salles si nutre di innumerevoli parentele cinematografiche (la musica, ad esempio, sembra uno sfacciato omaggio al Nyman di "Lezioni di piano"), ed inoltre è molto furbo nello strizzare l'occhio ai gusti occidentali. Ciononostante, "Central do Brasil" non è un'opera irritante: l'enfasi assegnata al messaggio morale non riesce a far apparire meno autentica quella figura di donna che, nel corso del film, passa da uno stato di cinica ed egoistica indifferenza nei confronti del prossimo a quello di responsabile condivisione del dolore degli altri, e infine all'amore disinteressato, in un'evoluzione costellata dai classici e un po' scontati momenti topici, ma segnata anche da dubbi, riflessioni e spaesamenti (bellissima la scena in cui Dora sviene all'interno della cappella, mentre intorno si celebra con candele e fuochi d'artificio una festa religiosa). "Central do Brasil" è forse un film consolatorio nella sua conclusione e un po' troppo semplicistico nella contrapposizione tra la capitale e le regioni dell'interno, ma le suggestive carrellate tra la folla della caotica stazione di Rio de Janeiro ci restituiscono un'immagine del Brasile assai poco politically correct, così come lo sguardo disincantato gettato su alcune espressioni della religiosità del popolo (a metà strada tra devozione, paganesimo e superstizione) tengono il film al di qua del confine che lo separa dal semplice apologo spirituale.