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GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK regia di George Clooney

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kafka62     7 / 10  26/04/2018 12:00:52Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quello di George Clooney non è per niente simile, nonostante una certa affinità ideologica e la scelta di uno stile quasi documentaristico, al cinema di Michael Moore, ma rimanda piuttosto a quei registi (Lumet, Pollack, Pakula, Ritt) e a quei film ("Tutti gli uomini del presidente", "Il prestanome") che verso la metà degli anni settanta diedero vita a un fertile e vitale periodo di cinema liberal, fortemente impegnato a smascherare le storture e le ipocrisie del potere, senza però mai alzare la voce e soprattutto senza mai mettere in discussione l'american way of life. Anche la civilissima battaglia di Clooney è una battaglia di metodo più che di merito: Clooney non ha simpatie radical, non parteggia con i presunti comunisti perseguitati dal senatore McCarthy, ma mette in scena un infervorato j'accuse contro tutte le violazioni, da qualunque parte provengano, dei fondamentali diritti all'informazione, contro la censura bieca ed occhiuta, e contro le inquisizioni ed i processi montati ad arte attraverso l'utilizzo di prove arbitrarie o inesistenti, le delazioni strappate con le minacce o l'addebito di colpe assurde, come quella di essere il figlio o addirittura un semplice conoscente di un qualche iscritto alle "liste nere". A tal punto sta a cuore al regista la veridicità della storia di Edward R. Murrow, il giornalista televisivo che osò sfidare McCarthy dagli schermi della CBS, che egli sceglie un bianco e nero quanto mai classico e realistico, l'inserimento di autentici inserti documentari, un attore (David Strathairn) dalla recitazione e dai modi quasi impassibili, e in genere un tono di estremo understatement, anche a scapito della spettacolarità e della facilità di visione del film. Il risultato è un pregevole ed onesto pamphlet sulla libertà di stampa e di informazione, oltremodo attuale in un'epoca in cui la televisione sembra aver definitivamente rinunciato alla sua vocazione pedagogica per inseguire spregiudicati scopi di persuasione occulta a fini politici e commerciali. Forse, se proprio si vuole cercare il pelo nell'uovo, un maggiormente intenso climax narrativo e qualche furberia alla Ron Howard in più non avrebbero guastato, ma George Clooney, abile nel padroneggiare la macchina da presa come un regista consumato e nel dirigere i suoi attori nell'angusto e claustrofobico spazio della redazione televisiva in cui il film è praticamente rinchiuso dall'inizio alla fine, è un artista da prendere sul serio.