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LA DAMIGELLA D'ONORE regia di Claude Chabrol

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kafka62     7 / 10  26/04/2018 14:00:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un film di Chabrol lo si guarda come una volta si guardavano i film di Hitchcock o di Ford: si sa già in anticipo quello che si vedrà (ambienti, personaggi e storie non cambiano molto di pellicola in pellicola, e perfino gli autori dei romanzi da cui sono tratti i soggetti sono spesso gli stessi), eppure ogni volta è un'esperienza che riesce in qualche modo ad essere nuova e diversa. E' l'effetto di quello che, a proposito dell'autore di "Ninotchka", veniva chiamato "il tocco alla Lubitsch", un qualcosa di molto riconoscibile e personale, ma anche di molto difficilmente definibile. Qual è il tocco alla Chabrol, quel minimo comune denominatore che accomuna "Stephane, una moglie infedele" a "Il buio nella mente", "Il tagliagole" a "Grazie per la cioccolata"? Dire che si tratta di film noir o di storie ambientate nella piccola borghesia della provincia francese è troppo semplicistico, come lo sarebbe il dire che "Ombre rosse" e "Sentieri selvaggi" sono chiaramente ascrivibili a Ford in quanto entrambi sono dei western. In realtà è qualcosa di più sfuggente, che ha a che fare con qualcosa di meno oggettivo di un piano sequenza o della presenza costante di un attore feticcio. E' per esempio quel modo unico di mettere insieme in maniera mirabile tutti i pezzi del puzzle, in modo che nessun dettaglio, per quanto minimo e apparentemente insignificante, risulti alla fine superfluo. Anche ne "La damigella d'onore" tutto torna, se così si può dire: ragazze scomparse, ex spasimanti vigliacchi, sorelle cleptomani, barboni molesti, notizie di giornale, persino l'abbaiare di un cane, tutto si rivela essenziale nell'economia del film (a parte la madre di Senta, che vediamo sempre afasicamente impegnata a ballare con il suo compagno, in un ruolo che non significa nulla, ma che forse, in un senso più recondito e simbolico, è altrettanto determinante). Un altro leit motiv è il carattere ambiguo e morboso dei personaggi, che non si sa mai se sono quello che sembrano o se nascondono una doppia vita dietro la loro rispettabile facciata. Chabrol è un maestro nel tirar fuori, quando meno te lo aspetti, gli scheletri dagli armadi

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER e nel tenere i suoi protagonisti sull'orlo di un baratro, in precario equilibrio tra normalità e dannazione. Senta in questo è un personaggio davvero esemplare: nei suoi occhi c'è sempre un lampo di lucida follia, di maniacale determinazione, di sensuale fanatismo. Philippe ne è attratto irresistibilmente, capisce che in lei c'è qualcosa di strano (la sua mitomania, per esempio), ma non riesce a vedere fino in fondo all'abisso della sua perversione; pensa di poter padroneggiare il gioco (fingendo ad esempio di avere ucciso un uomo per lei), ma il gioco gli prende ben presto inesorabilmente la mano, con effetti a metà tra il tragico e l'ironico (Senta infatti non nasconde nulla a Philippe, è semplicemente lui che non le crede). Con una progressione infallibile nella sua semplicità e linearità Chabrol conduce il film verso un esito prevedibile, quasi scontato, eppure sorprendente per la ruspante efficacia della sua suspense (lontanissima dalla adrenalinica e quasi sempre banale spettacolarità dei thriller americani). "La damigella d'onore" è l'adattamento di un romanzo di Ruth Rendell, da cui Chabrol aveva già tratto "Il buio nella mente", ma Senta è parente della diabolica coppia di assassine non diversamente dalla Mika di "Grazie per la cioccolata" o dei tanti altri omicidi della sua più che quarantennale carriera. Ciò vuol dire, per tornare al punto di partenza, che l'origine letteraria dei film non è poi così fondamentale, e che il regista francese "chabrolizza" per così dire i suoi personaggi, trasformandoli in una sorta di affascinante archetipo cinematografico.