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LA DEA DEL '67 regia di Clara Law

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steven23     8 / 10  02/12/2015 20:51:52Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
C'è un solo motivo alla base della mia scelta di vedere questo film praticamente mezzo sconosciuto, un motivo che ha un nome e un cognome: Rose Byrne. La ricerca di una pellicola che riuscisse a mostrare appieno le reali doti dell'attrice australiana mi ha portato appunto fino alla terra dei canguri... e indietro di 15 anni.
Prima di parlare del film in sé ci sarebbe una piccola premessa da fare, si tratta di un lavoro molto particolare, senza dubbio originale e che potrebbe non piacere ai più. Detto questo posso dire la mia, il film mi è piaciuto eccome.

La storia è quella di due giovani provenienti da due terre estremamente diverse, Giappone e Australia. Il desiderio del primo di possedere un'autentica Citroen DS (da qui il titolo del film) lo porterà, a seguito di un prologo dal taglio quasi documentaristico, a incrociare la strada con la seconda, una ragazza cieca e dal passato alquanto oscuro.
Clara Law realizza il suo lavoro sfruttando questa trama per nulla elaborata ma efficace nella sua semplicità. E tutto ciò che riesce a metterci di suo è davvero stupefacente. La regia è molto particolare e attenta nel mantenere ben distanti quei due mondi che i protagonisti cercando di unire attraverso il loro legame: il Giappone è rappresentato perlopiù da ricordi, immagini intermittenti e visualizzate con quell'effetto tipico della telecamera termica; l'Australia lascia invece spazio a un paesaggio quasi stilizzato, a colori dalle tinte forti e a un senso di artificialità che, paradossalmente, riesce a creare un effetto migliore di quanto avrebbe potuto fare uno scorcio paesaggistico reale.
In mezzo a tutto ciò, tra strade deserte e qualche villaggio, tra presente e flashback che scavano sempre di più nel passato si muovono appunto i due personaggi principali... e la DS, quella stessa auto che ruba la scena in più di un passaggio della storia e che viene descritta e osannata da una voce fuori campo: malgrado il tutto centri relativamente con lo sviluppo del film questo taglio quasi pubblicitario voluto dalla Law non stona nel complesso anzi, appare di una naturalezza tale che a malapena ci si fa caso.
C'è poi questa scelta dei flashback. Personalmente li ho sempre apprezzati, e anche qui completano un quadro altrimenti incompleto. Unico appunto che mi sentirei di fare riguarda la loro durata piuttosto dilatata, con l'aggiunta che un paio di questioni rimangono all'apparenza in sospeso, ma forse anche qui è una scelta voluta dalla regia.
Già, quella regia che si guarda bene dal mischiare presente e passato. Al pari di Giappone e Australia anche i due archi temporali rimangono ben lontani tra loro, catturati da movimenti di macchina a tratti splendidi nella loro stranezza, a tratti semplici ma di terrificante intensità. Spesso viene da chiedersi se l'intento della Law fosse quello di realizzare un semplice esercizio di stile, un prodotto dalla forte componente narcisistica ma fine a se stesso. Beh, sono proprio i flashback a chiarirci che non è affatto così, quei ricordi colmi di paure e dolori che aprono gli occhi su quello che stiamo guardando nel presente.
Infine ci sono appunto i personaggi, una coppia vittima di un analisi psicologica dalla profondità quasi insondabile: in particolare è lei a subirla, il suo passato viene letteralmente aperto a mostrare tutto ciò che contiene e sì, anche a giustificare in parte il motivo della sua cecità. E man mano che le vicende personali si snodano e si ritorcono a mostrare il passato scopriamo che la coppia è priva di una propria identità. Entrambi la cercano e nessuno la trova, solamente quella forza celata nei rispettivi disagi riuscirà a indirizzarli verso primo, importante passo da fare nella giusta direzione. Una direzione che, forse, li vedrà insieme a dividersi gioie e dolori, speranze e paure.
Il finale che poi è tutto via che un finale è perfetto malgrado arrivi dopo un passaggio altamente prevedibile in anticipo.

Ottimo anche il lavoro dei due interpreti, nettamente superiore però risulta proprio la Byrne: interpretazione fantastica. La sua cecità è tangibile, le movenze ideali a esternarla, lo sguardo a tratti talmente intenso e malinconico da spiazzarti...
... il medesimo senso di spiazzamento che ti ritrovi addosso all'avvento dei titoli di coda. Sempre un bene parlando di film, se poi, come nel mio caso, deriva da stupore piuttosto che delusione ancora meglio!
Invia una mail all'autore del commento NotoriousNiki  02/12/2015 21:58:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
anche per la Byrne hai venduto il cuore lol
sottovalutata dai più ma credo che il ruolo della vita debba ancora arrivare, indubbiamente la agevolerebbe essere presa in considerazione da qualche autore (Jonah Hill docet) togliendola dal giro delle commediole
steven23  03/12/2015 11:57:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Eh sì, anche se devo dire mi capita di venderlo molto spesso xD
Scherzi a parte mi piace, sia come donna (malgrado una bellezza tutt'altro che appariscente) che come attrice... e qui arriviamo al punto. Sono perfettamente d'accordo sul fatto che il ruolo della vita non le sia ancora capitato per le mani (sperando che, un giorno, possa effettivamente capitarle, a molti non succede mai), certo è che anche nel panorama commedie ci sono tipi e tipi di film. Ok quelle del tipo "I give it a year" che, malgrado non regalino nulla di memorabile, si vedono con un certo piacere e non la sminuiscono completamente... discorso diverso per roba tipo "Cattivi vicini" (di cui abbiamo già parlato) e "Le amiche della sposa", i livelli qui sono tremendamente bassi. Se poi passi da questi al film che ho appena commentato oppure a "Damages" in cui accanto alla Close fa davvero una gran figura beh, capisci che forse varrebbe la pena farle fare qualcosa di più impegnato e di livello, ecco...
... e a tal proposito è azzeccatissimo il tuo esempio di Hill.