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IL SILENZIO DOPO LO SPARO regia di Volker Schlöndorff

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amterme63     7 / 10  31/05/2009 12:54:26Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L’oggetto del film è il racconto di una decina di anni di vita di una terrorista tedesca, Rita Voigt. Il punto di vista è abbastanza distaccato e si limita a raccontare in sunto alcuni momenti chiave della sua vita, sia di azione che di vita normale. Lo scopo è quello di guardare in controluce la figura del “terrorista”, al di fuori di qualunque preconcetto o stereotipo. Vediamo le cose dal suo punto di vista, ma non possiamo fare a meno di mettere in rapporto i suoi atti con il contesto storico e con il mondo che la circonda, rivelando così le contraddizioni fra quello che vuole e quello che fa. Il punto di vista in questione è principalmente quello della sua vita normale e sentimentale. Di riflesso entra anche la riflessione politica e ideologica.
Come detto, lo sguardo del regista è uno sguardo distaccato. La struttura del film è un po’ all’americana, con ritmo veloce, a volte frenetico, dialoghi stringati e ridotti all’essenziale, prevalenza della narrazione sull’introspezione. L’inizio è da classico film d’azione, con camera a spalla che ci porta in mezzo a rapine o evasioni. Questa parte è un po’ stereotipata, con i terroristi con le loro tipiche facce dure, l’eterna sigaretta in bocca e le loro giustificazioni sbrigative e nette. Anche le ragioni etiche di tali azioni sono annunciate in maniera sommaria (chi contro l’imperialismo, chi contro la vita borghese …). Nei fatti diventa invece una vita impossibile, quasi impraticabile e soprattutto con scelte drastiche (gli assassini) che segnano e trasformano profondamente l’animo dei terroristi: o lo fanno diventare estremamente duro, quasi inumano o lo spingono a ripensare per non degenerare.
Rita è una di queste ultime. Decide di fermarsi e di rifarsi una vita in uno stato con un sistema corrispondente ai suoi ideali etico-politici, cioè la DDR degli anni ’80. E’ così convinta della giustezza di questi ideali che si butta anima e corpo – in maniera quasi religiosa – nella sua nuova vita. Non gli importa se si deve svegliare tutti i giorni alle 5, vivere in condizioni modeste in anonimi condomini, fare lavori generici, fingere una nuova identità. Ci si sente benissimo ed è sorridente ed entusiasta, sotto gli occhi increduli e meravigliati dei suoi colleghi di lavoro. Addirittura cerca di alleviare il dolore di chi soffre e finisce per dare una speranza di vita a Tatiana, un’emarginata della DDR (si fa intravedere in maniera indiretta che anche lì non erano tutte rose e fiori). Ne nasce una bellissima storia di amore. Nonostante che agli inizi Rita fosse così contestatrice e ribelle, adesso si mostra prona e ubbidiente a ogni direttiva che viene dall’alto, anche quelle più dolorose e inumane (lasciare Tatiana). La storia si ripete poi con un bel bagnino (innamoramento – distacco forzato).
La tanto vituperata normalità borghese diventa così la sua essenza di vita. Evidentemente è l’aggettivo “borghese” il vero problema, in quanto di normalità non si può fare a meno. Ed è per questo che è l’unica a non esultare alla notizia della caduta del Muro. Sa come funziona di là e sa che di là c’è l’impero della ricchezza sul bisogno e sulla libertà. Questo film, insieme a Goodbye Lenin, è uno dei primi che vedono l’esperienza della DDR in una luce non completamente negativa, come un esperimento in sé non sbagliato ma condotto male.
Comunque il film non è molto chiaro ed espressivo in merito, ci sono solo accenni in merito a questa questione. Prevale quindi il ritratto di vita di Rita, come a riscattare l’interiorità di una terrorista, facendola passare per una persona non certo peggiore di tanti altri. Il fatto è che la società non perdona e il proprio passato non si può cancellare. Gli errori si pagano e salato, come ci dicono le ultime fredde e distaccate inquadrature. Dopo ogni sparo non resta più niente se non un assordante silenzio.