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L'INFERNO regia di Danis Tanovic

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7½ / 10  25/07/2006 21:49:39Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non è facile valutare questo film, che merita sicuramente dei voti altissimi per lo script (soggetto di Kieslowsky, e si vede) ma qualche punto in meno per lo svolgimento.
Giustamente la critica ha evidenziato quanto Tanovic fosse a disagio in una prova non sua: si direbbe in effetti un film privo di identità.
Eppure resta un'opera tra le piu' interessanti della stagione.

L'espressione tangibile del dolore di un trauma è attraversata da una sorta di protervia continuità, alla ricerca inconscia ma profonda, radicale della protezione drammatica del dolore stesso.
E' qualcosa che non ci lascia mai, che amiamo lasciare alla fredda ferita, qualcosa che non avrà mai una necrosi epidermica nè psicologica.
Il dramma della disperazione nativa ("no man's land") cede il posto a un Tanovic insolito (produzione franco-belga-giapponese - ?!) dove i destini di tre donne vengono plasmate da rivelazioni ed eventi.
"L'enfer" è il feto femminile dove grava il senso di sconfitta delle tre protagoniste: un corpo frenato da un desiderio mai vinto, la gravidanza di una relazione sofferta, il corpo che ha già dato ed espia i tradimenti coniugali con un senso quasi masochista di voyeurismo.
Un film intenso, forse troppo, sorprendentemente feroce, e a tratti traspare un minimalismo degno del miglior cinema francese contemporaneo.
Sautet per esempio?!
E i ripetuti scontri coniugali tra la Beart e il consorte hanno forse lo stesso essenziale vigore di Rivette... o magari la trasfigurazione soggettiva di Chereau (l'immenso "Gabrielle").
Come in quel film, L'enfer è una rischiosa sfida cinematografica, non priva di prolissita' e momenti sottotono, ma talmente incisiva da non lasciare indifferenti.
Che non sia piaciuto alla critica poco conta: sarà rivalutato, pur con i suoi difetti, in futuro.
Ripeto: attenzione, chi ha vissuto eventi del genere si premuri ad evitarlo.
Perchè è dannatamente irreversibile nel consolidare un moto temporale che non puo' essere cambiato, come se il tempo determinasse e in modo impellente la condanna del destino.
Eppure nel consolidamente delle verità c'è una via di fuga o meglio una rappacificazione con i propri tagli bruschi del passato.
Realtà che la frase "sogno la vita e vivo sognando" sembra apparentemente l'unico mezzo di accettazione di sè.
Poi parlano le immagini: immagini di cupi condomini francesi, della natura che processa il senso enorme della vita (occhio all'iniziale, splendida sequenza del cu**** che scaccia i fratelli cfr. segno di una radice estirpata fin dalla nascita).
Eppure quando Tanovic racconta la relazione di una delle donne (la piu' giovane?) con un maturo professore universitario, c'è un forte rischio di precipitare nel naivitismo di un banale fotoromanzo.
Difetti conpensati dall'equilibrio spezzato dal senso delle scelte ("cosa sono io, destino o coincidenza?").
No, non è coincidenza.
Anche i tempi morti che annaspano alla ricerca di una soluzione ne valorizzano la crescita.
Insomma, non saro' io a rovinare una media così alta, e del resto le splendide interpretazioni delle attrici (fra cui una conturbante Bouquet sensuale anche con i capelli bianchi) e l'affascinante aria cospiratrice del soggetto mi hanno letteralmente sconvolto, e superano di gran lunga qualche perplessità stilistica